Foto facebook e accertamenti fiscali, cosa devi sapere

È rischioso pubblicare foto su Facebook e altri social? Leggendo alcune sentenze sembra proprio di sì, infatti si è creata una giurisprudenza consolidata che sostiene la legittimità della ricostruzione dei redditi attraverso le cose postate sui social.

I social possono essere usati per provare il reddito?

Quante volte l’amico che fa piano bar la sera, magari come lavoretto per arrotondare, ha pubblicato foto dei propri spettacoli? Quelle entrate devono essere dichiarate? Naturalmente sì, ma se non lo fa, le foto pubblicate, magari dal locale e non direttamente dal percipiente possono costruire una prova per ricostruire il reddito?

Sebbene il vice-ministro dell’Economia, Maurizio Leo, parli della necessità di implementare l’uso dei social attraverso atti normativi, al fine di contrastare l’evasione fiscale, la giurisprudenza è già oltre e già utilizza tali fonti, che diventano parti del metodo induttivo di determinazione del reddito.

Ecco alcune pronunce che ci dimostrano quanto sia rischioso pubblicare foto e post su Facebook e altri social come Instagram.

Il metodo induttivo per la determinazione del reddito usa le foto su Facebook

L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza possono utilizzare il metodo induttivo per rilevare il reddito effettivo di un soggetto. Il metodo induttivo è previsto dall’articolo 39, comma 2 del dpr 600 del 1973 e articolo 55 del Dr 633 del 1972. Tale tipologia di accertamento può essere effettuata sulla base di dati o notizie comunque raccolti dall’amministrazione finanziaria o venuti a sua conoscenza, nonché sulla base di presunzioni anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Il metodo induttivo si basa su un procedimento logico che consente di determinare l’imponibile globale senza analizzarne le singole parti semplici, bensì impiegando nella costruzione tutte le notizie, le prove ed i dati.

Il fulcro centrale è “dati o notizie comunque raccolti dall’amministrazione finanziaria o venuti a sua conoscenza”, infatti in diverse sentenze si legge che il reddito è stato rideterminato tenendo in considerazione anche dati raccolti in modo “anomalo”. Ad esempio, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, con la sentenza n. 648 del 20 febbraio 2024 afferma che è corretto ricostruire il reddito di un lavoratore avendo in considerazione una serie di elementi appresi durante un’ispezione. Tra questi elementi vi sono i contenuti di un sito internet e in particolare una galleria fotografica che di fatto prova nel caso in oggetto  la partecipazione a serate in locali che evidentemente non erano oggetto di fattura.

Questa non è l’unica pronuncia da tenere in considerazione.

Non solo accertamenti fiscali: assegno di mantenimento determinato in base alle foto pubblicate su Facebook

Un’ulteriore pronuncia importante è la sentenza n. 91/2020 del Tribunale di Verona, sezione civile. In questo caso siamo nell’ambito di una pronuncia per separazione, nella determinazione dell’assegno di mantenimento viene tenuto in considerazione il reddito dichiarato, ma non solo. Il coniuge afferma che l’altro coniuge oltre ai redditi dichiarati percepisce delle somme in nero. “Attività che trova del resto riscontro nelle fotografie e nella pagina Facebook depositate da parte ricorrente nelle quali C. d. risulta indicato come referente in Italia del Centro dentistico croato – nonché nelle dichiarazioni della teste S., che oltre a dichiarare che di averne avuto notizia dalla P., ha riferito di avere lei stessa avuto modo di vedere su Facebook delle foto e degli annunci postati dal D. e segnatamente foto di una macchina con la pubblicità sulla fiancata dello Studio odontoiatrico croato e degli appartamenti Va poi rilevato che risultano erogati al resistente gli assegni familiari.”

Naturalmente non possono mancare gli accertamenti fiscali su chi utilizza i social per lavorare, cioè gli influencer. Ha fatto discutere nelle settimane scorse l’accertamento fiscale su 4 noti influencer che non dichiaravano i proventi delle sponsorizzazioni.

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Facebook e Instagram saranno a pagamento? Rivoluzione contro i profili falsi

Sono numerose le persone che utilizzano i social come Facebook e Instagram anche per lavoro, o solo per lavoro, proprio per queste persone è importante avere un profilo verificato perché tutela dai furti di identità. Per queste persone arriva il profilo Facebook e Instagram verificato. Come si ottiene? Semplicemente Facebook e Twitter saranno a pagamento.

Facebook e Instagram saranno a pagamento?

Ad annunciare questa novità è stato Mark Zuckerberg che ha lanciato il servizio per utenti verificati, questo consentirà non solo di rendere più difficili i furti di identità, ma anche di avere un accesso semplificato e più veloce al servizio di assistenza. La decisione ricalca quella già annunciata anche da Elon Musk per Twitter.

Negli ultimi anni Instagram è diventato il social più utilizzato dagli imprenditori digitali o influencer ed è in grado di muovere molti soldi e generare lauti guadagni. Proprio questa attitudine ha reso i furti di identità molto frequenti. Generalmente lo schema tipo prevede che, in seguito al furto, siano chiesti dei riscatti per poter riottenere il controllo del proprio profilo, naturalmente chi guadagna tramite i social ha magari impegnato molte energie per conquistare i follower e perdere il profilo vuol dire perdere guadagni.

Siccome le tutele tradizionali, con denuncia del furto di identità, non offrono particolari sicurezze, la strada più breve è pagare il riscatto. Ecco che per evitare questo tipo di reato/truffa viene introdotto l’account verificato a pagamento.

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Quali sono le caratteristiche del servizio Facebook e Instagram a pagamento?

Il costo previsto da Mark Zuckerberg per Facebook e Instagram a pagamento sarà di 11,99 dollari al mese. L’abbonamento avrà il nome di Meta Verified. Per autenticare il proprio profilo sarà necessario caricare un documento e tale funzione sarà fruibile solo agli utenti maggiorenni. Fin da ora è bene sottolineare che, visto che inizialmente il profilo verificato sarà collegato a un documento di riconoscimento, per ora non possono farlo le aziende ma solo le persone fisiche, sebbene si possa trattare di professionisti. A ciò si aggiunge che una volta creato il profilo verificato non sarà più possibile cambiare il nome utente o quello del profilo.

Il servizio non debutterà nei vari paesi del mondo in cui sono attive le piattaforme nello stesso momento, iniziano Australia e Nuova Zelanda.

Facebook: Zuckerberg licenzia 11.000 dipendenti Meta. Ecco perché

Il mondo dei social è in fermento, infatti dopo l’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk, con conseguente licenziamento di molti lavoratori, il 50%, è Mark Zuckerberg a licenziare i dipendenti di Meta, che controlla Facebook, Whatsapp e Instagram. Zuckerberg licenzia 11.000 dipendenti, ma cosa succede?

Zuckerberg licenzia 11.000 dipendenti Meta

È la prima volta che succede da quando Zuckerberg ha fatto il suo ingresso nel mondo dei social network rivoluzionando il mondo dei contatti sociali. Fino ad oggi c’erano solo state assunzioni. Il colpo è duro, infatti gli 11.000 licenziamenti Meta effettuati da Zuckerberg riguardano il 13% del personale. I licenziamenti hanno riguardato soprattutto l’area di gestione del personale, ma non solo. La decisione è arrivata dopo il crollo del valore delle azioni di Meta e dopo il crollo del patrimonio personale di Zuckerberg.

Nel comunicato ha fornito anche indicazioni per l’accompagnamento all’uscita dall’azienda. I dipendenti licenziati potranno avere 16 settimane di busta paga base, a cui si aggiungono due settimane aggiuntive per ogni anno di lavoro in azienda. I dipendenti riceveranno la remunerazione per tutte le ferie maturate ed evidentemente non godute. Infine, per 6 mesi sarà assicurata la copertura per l’assicurazione sanitaria per i dipendenti e per le loro famiglie. Al fine di aiutare i lavoratori a trovare una nuova occupazione, i dipendenti riceveranno 3 mesi di assistenza da parte di Meta.

Perché Zuckerberg licenzia 11.000 dipendenti Meta ( facebook, Instagram Whatsapp)?

Il motivo dichiarato alla base di questa scelta sono le previsioni di crescita di Meta troppo ottimistiche e quindi è stato assunto troppo personale. Per Zuckerberg, che ha dato la notizia dei licenziamenti con un comunicato, è necessario procedere a snellire la struttura dei più importanti social e in particolare Facebook.

Che ci sia una fuga di utenti dai social canonici è un problema reale. La stessa fuga, unita al proliferare degli account fake su Twitter, ha portato a un ribassamento del valore del noto social, poi acquistato da Elon Musk. Sono molti a ritenere che l’acquisto sia giunto al completamento solo perché, viste le trattative, l’improvviso dietro front di Musk lo avrebbe esposto a penali. Il fatto che Elon non sia convinto dell’investimento si è notato con il licenziamento che è conseguito all’acquisto, prima dei vertici e poi degli altri dipendenti, il 50%. In questo caso però l’eccessiva fretta ha portato errori e Musk per alcuni sta procedendo al reintegro.

È stata annunciata anche un’altra novità, cioè il pagamento per la spunta blu che certifica che trattasi di profili verificati, non fake. Emerge quindi il desiderio di Musk di rimpicciolire Twitter, ma renderlo allo stesso tempo produttivo attraverso il pagamento e la particolare affidabilità che acquisterebbe con i profili verificati. Di fatto molti utenti ora lasciano anche twitter.

Questo ulteriore licenziamento Meta sembra suggerire che l’attrattiva dei social canonici sia in declino e che sempre più le persone preferiscano canali di comunicazione alternativi e in un certo senso più liberi. L’effetto del licenziamento Meta è stato comunque subito avvertito dalla Borsa, infatti a Wall Street Meta sale del 5,37%.

Chatbot per la selezione del personale: come trovare il candidato giusto

La selezione del personale per un’azienda è sempre una fase molto importante perché, soprattutto per le posizioni di vertice ad elevata specializzazione, ma non solo, un’accurata selezione può fare davvero la differenza e portare un’impresa al successo. Oggi parliamo delle selezione del personale con chatbot.

Cos’è il chatbot per la selezione del personale

Quando si parla di selezione del personale con chatbot, si intende dire che il colloquio avviene con una sorta di robot che pone domande standard ( e in molti casi risponde alle domande del candidato) a tutti coloro che partecipano e registra le risposte. Il chatbot viene anche definito assistente digitale. In poche parole anche in questo caso viene utilizzata l’intelligenza artificiale. Può sembrare un modo freddo e impersonale per scegliere i propri dipendenti e collaboratori, ma in realtà è un modo per “ripulire” da elementi che possono essere fuorvianti per il colloquio e selezionare esclusivamente personale che ha determinate caratteristiche. Il chatbot può essere utilizzato anche per conservare dei colloqui per il futuro e quindi per esigenze di assunzione non impellenti.

Un chatbot è un software che consente di simulare un colloquio proprio come se lo stesso fosse tenuto da una persona, è in grado di interagire in modo strutturato con la persona che si trova dall’altro lato del computer. Naturalmente il soggetto viene informato del fatto che sta tenendo un colloquio con un chatbot.

Per le aziende i vantaggi possono essere diversi, in primo luogo è possibile sostenere un numero maggiore di colloqui e quindi acquisire un numero di informazioni davvero rilevante, in secondo luogo i tempi sono brevi, ricordiamo che con un software simile è molto probabile che contemporaneamente si svolgano diversi colloqui da più parti del mondo. Ecco perché questo strumento è molto utilizzato dalle aziende che operano a livello globale visto che possono tenere colloqui di lavoro anche in diverse lingue.

Quanto successo ha la chatbot?

Probabilmente le piccole aziende conoscono poco questo sistema e non lo usano, questo perché comunque gestiscono un numero limitato di colloqui e pensano che l’acquisto della licenza del software (o la personalizzazione del chatbot tramite un esperto informatico)  potrebbe essere uno svantaggio, ma nelle aziende di medie e grandi dimensioni la selezione del personale con chatbot è una realtà.

Da un sondaggio del 2019 è emerso che il 43% dei professionisti delle risorse umane ha usato una chatbot e di questi l’88% ha avuto un giudizio positivo. Il successo però non è visto solo dal lato dell’azienda, ma anche di coloro che si candidano alle varie posizioni lavorative, infatti il 58% di coloro che hanno sostenuto questo tipo di colloquio hanno dichiarato di essere a proprio agio con questa modalità di confronto. La chatbot può costituire anche una scrematura iniziale dei profili da contattare nuovamente, soprattutto è in grado di farlo con un’attenzione che non sempre le persone riescono ad avere quando devono esaminare un gran numero di persone.

Dove installare il chatbot

Un altro vantaggio dei chatbot per il recruiting è dato dal fatto che può essere “installato” in vari “luoghi”, naturalmente possiamo in primo luogo pensare al sito aziendale, nella pagina dedicata a “collabora con noi” è possibile far caricare i curriculm, cosa che ormai fanno tutte le aziende, ma anche avere un software per la gestione del chatbot di recruiting. Non solo, infatti le persone oggi arrivano alle aziende in modo disparati, ecco perché il chatbot per la selezione del personale può essere inserito anche attraverso il servizio di messaggistica Facebook, Instagram o WhatsApp oppure altri canali social.

Questa particolare versatilità consente alle aziende di gestire davvero un gran numero di dati in modo semplice, veloce e soprattutto esaustivo. I canali social consentono soprattutto di arrivare ai giovanissimi, infatti da un’indagine di Indeed (motore di ricerca per trovare lavoro) la maggior parte dei millennial, dei Gen X e dei baby boomers utilizza i dispositivi mobili, come smartphone, per trovare opportunità di lavoro e di conseguenza sono proprio i canali social ad essere più “fruibili”.

La personalizzazione

Naturalmente il colloquio con chatbot deve essere improntato nel modo migliore, cioè personalizzato in base alle esigenze delle aziende, ma anche in base a quelle dei candidati. Questi devono sentirsi coinvolti per poter partecipare, devono poter fare delle domande ed ottenere risposte, le domande più frequenti riguardano stipendi, ferie, posizione sul lavoro, possibilità di lavorare da remoto. Molti potrebbero pensare che in realtà la selezione del personale con chatbot per il recruiting possa allontanare i potenziali interessati, in realtà le statistiche dicono il contrario, perché emerge che coloro che partecipano ai colloqui si sentono molto più frustrati da una mancata risposta del potenziale datore di lavoro, rispetto a come si sentono a interloquire con un’applicazione.

Un chatbot ben programmato è sicuramente la soluzione ideale per un recruiting di alto livello, si possono scegliere anche diverse personalità, ad esempio si può improntare un colloquio su serietà ed elevata professionalità o prediligere un recruiter artificiale che sia simpatico, empatico, allegro e ottimista. Insomma, per trovare i migliori candidati non resta che provare le soluzioni innovative che la tecnologia ci mette a disposizione.

Infine, si ricorda che il chatbot per la selezione del personale è solo una delle possibilità di applicare l’intelligenza artificiale nella ricerca di nuove figure professionali. Abbiamo già parlato del blind recruitment, cioè la selezione alla cieca, puoi trovare l’articolo seguendo il link: Devi selezionare il personale? Prova il Blind Recruiting

L’Italia recepisce la Direttiva Copyright a tutela di artisti, autori, editori

Dal 12 dicembre 2021 è in vigore il decreto legislativo 177 del 2021 che introduce importanti novità sul diritto d’autore e funge da recepimento della Direttiva Copyright dell’Unione Europea 2019/790 del 2019. Ecco cosa cambia per gli autori, gli artisti e gli editori.

Perché nasce la Direttiva Copyright

La Direttiva Copyright risponde a una peculiare esigenza di tutela degli autori e degli editori di prodotti intellettuali di varia natura che attraverso il digitale solitamente vengono sfruttati senza che ci sia un’equa remunerazione del titolare dei diritti stessi.

Ormai le pubblicazioni avvengono prevalentemente online, articoli di cronaca o di approfondimento, articoli scientifici testi di poesie e canzoni, brani, insomma tutta la produzione intellettuale si diffonde in rete, questa però permette uno scarso controllo dei fruitori e di conseguenza spesso gli autori, e gli editori che hanno acquistato i diritti, perdono la remunerazione o gran parte della stessa. Ad esempio in passato per leggere gli articoli del giornalista “Sergio Rossi” era necessario comprare il giornale, oggi invece si possono ottenere gratuitamente. Diventa però necessario assicurare un equo compenso ai titolari dei diritti d’autore, inoltre è necessario proteggere la titolarità dei diritti.

I rapporti più tesi in questi anni sono stati tra gli editori/autori e le piattaforme di condivisione, ad esempio Google e Facebook, solo per citare i due colossi che più di altri contribuiscono alle circolazione delle opere senza retribuire chi delle stesse è legittimo proprietario. Non manca chi lancia un allarme opposto e cioè sostiene che la Direttiva Copyright potrebbe addirittura distruggere internet.

Quali sono i punti chiave del decreto che recepisce la Direttiva Copyright?

Sappiamo che le direttive dell’Unione Europea dettano disciplina quadro che solitamente non entra nei dettagli, ma lascia ampio spazi agli Stati Membri che hanno però un obbligo di adeguarsi. Anche in questo caso quindi è stato molto importante il lavoro degli “attori” italiani per cercare di contemperare gli interessi di tutti i soggetti coinvolti.

I punti chiave della disciplina sono:

  • diritto all’equo compenso per lo sfruttamento online dei contenuti;
  • diritto a una remunerazione adeguata e proporzionata per alcune categorie di professionisti;
  • i contenuti possono essere caricati sulle piattaforme online solo previa autorizzazione del titolare dei diritti (solitamente è l’editore);
  • obbligo di produrre un rendiconto sullo sfruttamento dei diritti inerenti le opere pubblicate;
  • diritto alla risoluzione del contratto in caso di mancato sfruttamento dell’opera.

Come calcolare l’equo compenso nel giornalismo

Nel decreto viene riconosciuto un importante ruolo all’AGCOM che deve dettare i criteri per stabilire l’equo compenso.

Per quanto riguarda l’equo compenso questo è riconosciuto anche in favore degli editori, in particolare qualora tali opere siano riprodotte da altre piattaforme ( le maggiori sono Google e Facebook) deve essere riconosciuto un equo compenso all’editore. I criteri per determinare tale compenso è rimandato all’AGCOM, che però deve determinare gli stessi tenendo in considerazione:

  • il numero di visualizzazioni online degli articoli;
  • gli anni di esperienza degli editori;
  • i costi sostenuti per gli investimenti
  • i benefici economici che derivano alle parti;
  • il numero dei giornalisti impiegati;
  • la rilevanza dei contenuti sul mercato.

Su tale equo compenso previsto in favore degli editori deve quindi essere calcolato anche un ulteriore compenso per l’autore a cui spetta una percentuale compresa tra il 2% e il 5%.

Direttiva Copyright per il cinema

Le novità interessano non solo il giornalismo, ma anche il settore del cinema, infatti direttori artistici e traduttori acquisiscono di diritto la qualifica di “coautori” quindi hanno il riconoscimento del diritto d’autore. I doppiatori invece sono considerati alla stregua di “artisti”, di conseguenza autori, direttori artistici, adattatori dei dialoghi, doppiatori e altre figure professionali devono ottenere anche loro un equo compenso in proporzione agli incassi derivanti dalle proiezioni.

Per gli autori delle opere è previsto un compenso anche per le varie riproduzioni e diffusioni effettuate dalle emittenti.

Il rendiconto

Il soggetto (piattaforma o social network) che intende diffondere prodotti coperti dal diritto d’autore, prima di procedere deve chiedere l’autorizzazione al titolare. Sono però previste delle eccezioni nel caso in cui tale soggetti dimostri di aver fatto tutto il possibile per ottenerla senza esservi riuscito, provveda alla rimozione in caso di eventuale richiesta e dimostri di aver fatto il possibile per evitare nuovi caricamenti. E’ sempre considerato reponsabile chi pratica pirateria.

L’articolo 107 al comma 2 stabilisce che coloro che trasferiscono i diritti esclusivi per lo sfruttamento delle loro opere hanno diritto ad ottenere almeno ogni 6 mesi, informazioni aggiornate sullo sfruttamento dell’opera e sulla remunerazione dovuta. La remunerazione dovuta per lo sfruttamento dell’opera deve comunque essere proporzionata rispetto ai ricavi. L’AGCOM sarà chiamata a vigilare sull’esatto adempimento di tale obbligo e potrà anche irrogare sanzioni.

I compensi per lo sfruttamento delle opere sono definiti irrinunciabili e di conseguenza neanche per contratto sarà possibile deliberare in modo diverso.

Il provvedimento ha trovato l’apprezzamento dal ministro della Cultura Dario Franceschini che ha sottolineato come esso sia in grado di rafforzare la tutela di autori e artisti attraverso norme chiare e meccanismi trasparenti. Tra l’altro il testo è stato studiato e concordato con esponenti del settore, proprio per questo trova il plauso di Giulio Rapetti Mogol che presiede al SIAE e Ricardo Franco Levi presidente dell’AIE (Associazione Italiana Editori) e di altri esponenti del settore dell’arte e della cultura.

Infine deve essere ricordato che la nuova disciplina non si applica ad alcune categorie di prodotti, si tratta di:

  • enciclopedie online senza scopo di lucro (wikipedia);
  • raccolte scientifiche senza scopo di lucro;
  • piattaforme e software open source (libere).

Baby influencer: cosa devono sapere le aziende e i genitori

Le persone sono sempre alla ricerca di nuove forme di guadagno e tra i lavori che emergono e che sempre più spesso sono amati, c’è quello da influencer, in questo mondo uno dei fenomeni che spopola è quello dei baby influencer, ma quali sono le norme che regolano questo settore e come devono comportarsi i genitori che vogliono “sfruttare” l’immagine social dei piccoli di casa?

Chi sono gli influencer

Quando un nuovo fenomeno emerge di solito lo fa al di fuori del quadro normativo, questo però non vuol dire che non si possano applicare delle regole e questo vale anche per i baby influencer, infatti i genitori devono sapere che ci sono delle regole da rispettare a tutela del minore.

Partiamo dall’inizio: l’influencer è un professionista che lavora solitamente nel campo della moda e riceve compensi per “sponsorizzare” attraverso i social i prodotti di vari brand. Il termine brand deve però essere individuato in modo molto generico, nel senso che anche un piccolo negozio di provincia può scegliere di offrire compensi a una persona per pubblicizzare la propria attività sui social.

Le forme attraverso cui si può organizzare questa attività sono diverse, ad esempio un contratto di collaborazione occasionale, ma anche la creazione di una società, cosa che conviene quando il volume di affari è ragguardevole. Potrebbe anche esserci un contratto alle dipendenze di un’agenzia. Non esiste l’albo degli influencer.

Le remunerazioni dipendono da diversi fattori, ma in primo luogo dalla capacità dell’influencer di “influenzare” gli altri, ecco perché diventano essenziali i follower presenti sulle proprie pagine Instagram, Facebook, Tik Tok, infatti le valutazioni dipendono proprio dal numero di essi. Quando si tratta di adulti tutto è abbastanza semplice da gestire infatti ci sono dei contratti regolari, la normativa stabilisce che è necessario chiarire sotto i post che si tratta di pubblicità remunerata.

Chi sono i Baby Influencer e la normativa di riferimento

Tutto diventa più complicato quando ad essere esposti sono i minori, si tratta infatti di un fenomeno molto comune e si parla di Baby Influencer, alcuni dei quali sono davvero già molto famosi, come i figli di Chiara Ferragni utilizzati per sponsorizzare le linee di abbigliamento baby create dalla madre, ma anche altri importanti marchi.

Si potrà obiettare che in effetti ci sono sempre stati bambini utilizzati nelle pubblicità e nel cinema. In realtà è così ed è prevista una disciplina per il lavoro minorile, si tratta della legge 17 ottobre 1967 n° 977, modificata in seguito all’entrata in vigore della direttiva 94/33/CE con D.Lgs. 4 agosto 1999 n.345 e che disciplina proprio i contratti pubblicitari di minori di 16 anni e L. 22 aprile 1941, n. 633 anche conosciuta come legge sul diritto d’autore che disciplina la tutela dell’immagine della persona e in particolare del minore e, infine, il codice civile.

Contenuto delle norme

La prima legge citata stabilisce che i minori possono essere impiegati in attività di tipo culturale, sportivo, artistico o pubblicitario, ma tali attività non devono pregiudicare sicurezza, integrità fisica e psichica del minore, il suo corretto sviluppo, la frequenza scolastica e la partecipazione ad attività di formazione e orientamento al lavoro dirette a fargli scegliere in modo consapevole un percorso di formazione professionale.

La legge 22 aprile 1941 n.633 mira a tutelare l’immagine del minore e stabilisce che per l’uso dell’immagine è in genere necessario il consenso del soggetto interessato e nel caso dei minori deve essere rilasciato il consenso da parte dei genitori o comunque da parte di soggetti che ne hanno la tutela.

In nessun caso vi può essere esposizione se la stessa pregiudica il minore stesso, quindi in questo caso neanche il consenso dei genitori è sufficiente.

Le sentenze in materia di Baby Influencer

Da questa disciplina applicata per analogia sono derivate diverse sentenze che hanno portato a censurare i comportamenti dei genitori che hanno esposto eccessivamente i figli. In alcuni casi c’è stato l’ordine di rimozione dei contenuti dai social aventi come soggetti dei minori e la deindicizzazione dei contenuti. Purtroppo questi provvedimenti sono “blandi” non per volontà del giudice ma per la stessa natura della rete, infatti se anche viene rimossa l’immagine dalla fonte principale, la stessa nella maggior parte dei casi è stata già girata migliaia di volte e spesso salvata dagli utenti quindi è davvero difficile controllare le immagini e la loro divulgazione una volta che sono finite nella grande rete.

Cosa ha deciso il Tribunale di Milano

Un’importante sentenza è del Tribunale di Milano n. 4379 del 16 luglio 2020: la madre aveva dato il consenso ad un contratto pubblicitario avente come protagonista il minore. Il padre ha proposto ricorso in quanto non aveva a sua volta dato il consenso. In sede il brand ha invece dichiarato che la madre aveva affermato di essere l’unico genitore responsabile del minore (affidamento esclusivo) . Di fatto il giudice ha dato ragione al padre individuando i contratti di sponsorizzazione come atti di straordinaria amministrazione e di conseguenza per poter procedere è necessario il consenso di entrambi i genitori che esercitano responsabilità genitoriale.

Il tribunale ha sottolineato nella sentenza che quando ci sono contratti che prevedono l’uso dell’immagine dei minori deve essere valutato se questi sono realmente rispondenti a interessi degli stessi minori applicando principi e i limiti stabiliti dalla Carta di Treviso. Nella sentenza si sottolinea che alcuni casi di spettacolarizzazione dell’immagine dei minori possono interferire con il normale processo di maturazione del minore.

La sentenza è importante perché sottolinea l’obbligo del brand di verificare che il consenso sia prestato da entrambi i genitori a cui viene riconosciuta la responsabilità genitoriale.

La Francia e i Baby Influencer

Proprio per la difficoltà di dare una tutela piena ai minori utilizzando norme datate ed emesse in contesti completamente diversi rispetto a quelli odierni, la Francia ha emanato una normativa specifica per i baby influencer. La legge stabilisce che le aziende che desiderano adibire a lavoro di baby influencer dei minori devono ottenere un’autorizzazione dalle autorità locali. L’orario di lavoro dovrà essere determinato in base all’età del minore e i compensi dovranno essere diretti a un conto intestato al minore e non potranno essere prelevati fino al raggiungimento del 16° anno del minore.

Con questa norma si vuole evitare che i genitori sottopongano a sfruttamento dell’immagine i minori per poterne percepire loro i guadagni. In molti auspicano che anche in Italia si procede nella stessa direzione della Francia e quindi a una tutela specifica per questa tipologia particolare di lavoratori che spesso sono sottoposti a costante stress per posare in foto e video pubblicitari.

Le abitudini degli italiani a San Valentino

San Valentino è arrivato anche quest’anno, inesorabile, e sono 12 milioni gli italiani che si apprestano a festeggiarlo.
Un’enormità, anche se il numero è in calo del 10%, ma che conferma la popolarità di questo giorno speciale, da dedicare a chi si ama.

Non si sa se questa diminuzione, rispetto al 2015, poiché nel 2016 non sono state fatte rilevazioni, dipenda da tante relazioni nel frattempo “scoppiate” o se il problema sia quello economico.

Ma, chi lo festeggerà, cosa ha in programma per la serata più romantica dell’anno? Il 20%, in realtà, non ha nulla di particolare in programma, ma non sarà a mani vuote, perché ha provveduto a fare un regalo alla dolce metà.
La maggior parte, il 67%, opta ancora per la cena a lume di candela, anche se il 47% di loro rimarrà in casa, cucinando per la persona amata, mentre il resto, che corrisponde a 4,3 milioni di persone, uscirà a cena.

Chi decide di uscire, inoltre, sceglie per il 62% il ristorante classico, mentre il 35% si dirigerà verso pizzerie e trattorie. Un misero 3% cenerà in posti particolari come battelli, tram, a seconda del luogo in cui si trovano.
In media, gli italiani spenderanno tra i 40 e gli 80 euro al ristorante, 20-40 euro in pizzeria, con picchi di 500 euro per chi vuole stupire la sua dolce metà.

Un fortunato 4% festeggia in viaggio, per una minivacanza che si aggira tra i 130 e 140 euro per chi soggiornerà in hotel, 200-600 euro in terme e Spa.

E i regali? La tradizione vince: 29% per i cioccolatini, 22% per i fiori, 27% per regali utili, e un misero 6% per i gioielli. Secondo le stime delll’indagine condotta da SWG, verranno comprati complessivamente 3,7 milioni di scatole di cioccolatini e 2,6 milioni di mazzi di fiori.
Tra chi sceglierà di dirlo con i fiori, uno su dieci acquisterà fiori dagli ambulanti improvvisati in strada, perché il 73% si recherà in un negozio specializzato e il 17% in un mercatino. Rose e composizioni speciali saranno le tipologie più scelte.

Ma, vivendo in un’era digitale, l’amore verrà dichiarato spesso e volentieri su whatsapp, dal 32% degli innamorati, mentre il 26% posterà il suo amore su Facebook e il 20% lo invierà via sms. Biglietti cartacei per il 18% e 4% per le email e i biglietti digitali.

Complessivamente, stimiamo che oggi gli italiani si scambieranno con il proprio partner oltre 2,1 milioni di bigliettini cartacei e circa 20 milioni di messaggini d’amore, tra sms e whatsapp: oltre 160 al secondo. Ancora più impressionante, però, la quantità di mail promozionali a tema San Valentino inviate agli italiani a febbraio: in media 10 ad internauta, per un totale di missive elettroniche stimabile in 350 milioni di missive elettroniche.

Vera MORETTI

INT sempre più social

L’Istituto Nazionale Tributaristi, per mantenere i contatti con le associazioni ma anche con i contribuenti, sta diventando sempre più presente ed attivo sui social network.

Quindi, per comunicare, non si limita ad incontri, lettere e partecipazione a riunioni ed audizioni, ma, al contrario, INT mantiene i contatti con i rappresentanti delle Istituzioni parlamentari e governative e con gli iscritti utilizzando in particolare Twitter, utilizzando l’hashtag #INTtributaristi con vari tweet.

Ecco un esempio di tre tweet inviati questa settimana e retwittati dagli iscritti:

Urge certezza proroga Unico 2015 @PPBaretta @paola_demicheli @enrico_zanetti #INTtributaristi @IstTribint @richidj1

Unico proroga scadenza ora,rispetto per lavoro intermediari fiscali @enrico_zanetti @mauro_m_marino @Capezzone #INTtributaristi @IstTribint

Del.fisc.art.10 lett.b) p.3) Assistenza contenzioso: tributaristi qualificati ex Lege n.4/2013 @PPBaretta @mauro_m_marino #INTtributaristi

Riccardo Alemanno, presidente INT, ha dichiarato in proposito: “Un modo rapido, attuale ed a costo zero per inviare messaggi e segnalazioni ai rappresentanti di Governo, Parlamento ed ai media coinvolgendo direttamente i nostri iscritti. Evidentemente ciò non sostituisce e non potrebbe mai sostituire l’attività di confronto diretto con le Istituzioni, ma poiché è utilizzato a qualsiasi livello, anche noi, già da tempo, abbiamo implementato ulteriormente la comunicazione attraverso i social”.

Vera MORETTI

Confcommercio e Facebook lanciano le Pmi

Che Facebook sia uno strumento indispensabile per il business delle piccole e medie imprese è un dato di fatto che nessuno può ignorare. Ora, a sancire questa verità anche a livello istituzionale ci ha pensato il Gruppo Giovani Imprenditori di Confcommercio-Imprese per l’Italia, che ha firmato un protocollo d’intesa con Facebook per “favorire lo sviluppo dell’innovazione e della cultura digitale all’interno delle Piccole e Medie Imprese associate su tutto il territorio nazionale attraverso attività e programmi formativi congiunti”.

Nel concreto, la collaborazione tra Confcommercio e Facebook si esprimerà attraverso attività e progetti di formazione per le Pmi associate e per le Ascom locali, in modo che imparino a utilizzare in maniera efficace Facebook come strumento di marketing e di comunicazione. L’accordo prevede infatti un calendario di incontri di formazione sul territorio nazionale che coinvolgerà una decina delle principali città italiane.

Facebook si impegna anche a realizzare contenuti formativi e informativi, in collaborazione con il Settore Politiche per lo Sviluppo di Confcommercio, da diffondere tra le piccole e medie imprese in modo che costituiscano la base su cui sviluppare la digitalizzazione e la conversione social delle medesime Pmi.

Alessandro Micheli, presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confcommercio ha affermato che “un uso intelligente del web e dei social media possono aiutarci a ripensare il negozio focalizzandolo ancora di più sul cliente, sui suoi desideri e i suoi bisogni, creando community di appassionati che rafforzano la visibilità, notorietà e reputazione generando traffico aggiuntivo nel punto vendita. La partnership con Facebook rappresenta per noi uno straordinario risultato nella direzione di favorire l’innovazione e lo sviluppo del nostro sistema associativo che attraverso le sue imprese vuole farsi interprete dell’evoluzione dell’idea di impresa e protagonista di trasformazioni, non solo organizzative e strategiche, ma anche culturali e sociali”.

Dal canto suo, Luca Colombo, Country Manager Facebook Italia è convinto che “spesso le aziende di piccole dimensioni si scontrano con limiti di risorse e capacità tecniche, che ne ostacolano la competitività rispetto a realtà più grandi e affermate quello che vogliamo condividere attraverso questo progetto sono proprio strumenti e competenze innovativi, semplici e accessibili, che offrano a tutte le imprese la possibilità di cogliere il valore del mondo digitale e mobile. In questo, Facebook rappresenta per le imprese il partner ideale in grado di assicurare non solo strumenti efficaci di targetizzazione, engagement e misurazione dei risultati, ma anche un bacino di utenza che solo in Italia raggiunge 20 milioni di persone ogni giorno, di cui 17 milioni connessi alla piattaforma da dispositivi mobili”.

Se Facebook cade trascina con sé migliaia di siti

La scorsa settimana, a causa di un guasto, Facebook e Instagram sono rimasti fuori servizio per circa un’ora. Poca roba nel mondo reale, un’eternità in quello virtuale; tant’è che, secondo un’analisi condotta da Dynatrace, azienda specializzata nell’application performance management di nuova generazione, questo black out ha comportato un effetto a catena sui siti web di tutto il mondo.

Tramite la sua soluzione Outage Analyzer, Dynatrace ha monitorato quanto accaduto nella mattina di lunedì 28 gennaio identificando 29 diverse location dove operano i server Facebook interessate dal guasto. Il down non ha riguardato il data center cuore di Facebook, in Oregon, ma i contenuti distribuiti nei sub-data center negli Stati Uniti e in tutto il mondo, di proprietà di Facebook e non.

La conseguenza più critica del black out è che almeno 7.500 siti web che dipendono da una risposta JavaScript di un server Facebook si sono trovati con operazioni rallentate o del tutto bloccate a causa della mancata risposta di Facebook. Gli utenti del social network che accedevano a questi servizi non potevano avere alcun tipo di risposta o fare nulla nel corso dell’ora di black out.

Il rallentamento ha riguardato i siti che utilizzano il bottone “Mi piace” di Facebook e che hanno quindi delle interrelazioni con il social network, a conferma, fanno sapere da Dynatrace, della vulnerabilità delle aziende che si affidano a link di terze parti sulle proprie pagine online.

È quindi evidente che, nonostante un gruppo online abbia voluto rivendicare il down di Facebook, l’interruzione non è stata causata da un attacco informatico. Facebook stessa ha smentito questi sedicenti hacker, dichiarando che il problema non è stato causato da terze parti ma da un errore durante una modifica della configurazione.