Partite Iva, quali finanziamenti e contributi a fondo perduto si possono richiedere?

Per le partite Iva sono a disposizione vari finanziamenti, contributi a fondo perduto e agevolazioni. Su tutti, gli aiuti per i giovani possessori di partite Iva e per le donne assicuranti dallo sportello On – Oltre nuove imprese a tasso zero e Resto al Sud. Peraltro, lo sportello On ha ricominciato ad assicurare i finanziamenti da poco più di una settimana (il 24 marzo 2022). Possono presentare domanda i giovani (che detengono il maggior numero delle nuove aperture di partita Iva nell’ultimo trimestre del 2021, pari al 46,1%) e le donne (con il 36% delle nuove aperture). Per chi presenterà domanda è possibile beneficiare di un mix di contributi a fondo perduto e di finanziamenti a tasso zero. I fondi a disposizione stanziati dalla legge di Bilancio 2022 sono pari a 150 milioni di euro.

Partite Iva, chi può richiedere i contributi a fondo perduto e i finanziamenti di Oltre nuove imprese a tasso zero?

Le partite Iva che possono richiedere i contributi a fondo perduto e i finanziamenti agevolati della misura Oltre nuove imprese a tasso zero sono quelle che puntano a creare e a sviluppare micro e piccole imprese. In prevalenza si tratta di realtà giovanili, da 18 a 35 anni oppure da donne, a prescindere dall’età. In ogni caso, la prevalenza nelle imprese di giovani e di donne si costituisce in base al numero di componenti donne o giovani sia per le quote di capitale detenute che come compagine sociale.

Come si viene ammessi ai contributi a fondo perduto e ai finanziamenti di Oltre nuove imprese a tasso zero?

Pertanto, per ottenere i contributi a fondo perduto o i finanziamenti è necessario che vi sia maggioranza di giovani o di donne nella micro e piccola impresa. Ad esempio, se una impresa è composta da un uomo di oltre 35 anni e da una donna o da un under 35 anni, per la richiesta del finanziamento è necessaria una terza persona che possegga i requisiti richiesti. E dunque che sia un giovane under 35 o una donna. Inoltre, per procedere con la richiesta le imprese devono essere costituite da non oltre i cinque anni. Anche le persone fisiche possono presentare richiesta purché si impegnino a costituire una nuova società dopo l’ottenimento dell’agevolazione.

Per cosa si possono richiedere i contributi a fondo perduto?

I contributi a fondo perduto e i finanziamenti possono essere richiesti per le società dei settori del manifatturiero, dei servizi, del commercio e del turismo. I progetti possono essere richiesti per idee su tutto il territorio nazionale e hanno un limite di spesa di tre milioni di euro. La percentuale di copertura dei contributi può arrivare al 90% dei costi ammissibili. I finanziamenti ottenuti devono essere utilizzati entro i due anni successivi alla stipula del contratto.

Quali sono i costi ammissibili che possono essere finanziati dalle partite Iva?

I contributi a fondo perduto e i finanziamenti possono coprire le spese necessarie per:

  • l’acquisto di impianti, di attrezzature e di macchinari;
  • di programmi e servizi informatici;
  • di brevetti;
  • di spese per costituire la micro o piccola impresa.

È previsto un doppio ambito di copertura delle spese. Il primo riguarda le imprese costituite da non oltre i 36 mesi al momento della domanda; il secondo dai tre ai cinque anni. Per le imprese entro i 36 mesi si arriva a finanziare le spese fino al 20% con i contributi a fondo perduto. Per le altre imprese, il fondo perduto arriva al 15%.

Come presentare domanda della misura Oltre nuove imprese a tasso zero?

La procedura per la presentazione delle domande delle partite Iva è gestita in via telematica da Invitalia. L’incentivo è a sportello e non ha scadenza. Ma nei limiti delle risorse disponibili. Non ci sono graduatorie e le domande vengono gestite in base all’ordine cronologico di arrivo. È dunque necessario accedere al portale di Invitalia con le credenziali Spid, Carta nazionale dei servizi (Cns) o Carta di identità elettronica (Cie). Vengono richieste al richiedente sia la firma digitale che un indirizzo di posta elettronica certificata (Pec). La valutazione delle domande prevede un colloquio dei candidati ai finanziamenti per approfondire le competenze tecniche e gestionali. Al superamento del colloquio è necessario fornire maggiori dettagli del progetto dal punto di vista economico e finanziario.

Resto al Sud, quali finanziamenti per le partite Iva?

L’altra misura a disposizione delle partite Iva è quella relativa ai finanziamenti di Resto al Sud. La misura ha risorse più alte rispetto alla prima misura (1,25 miliardi di euro per il 2022) e mira a sostenere la nascita e il consolidamento delle nuove attività imprenditoriali e dei liberi professionisti. Ma non è richiedibile in tutto il territorio nazionale. Infatti, i finanziamenti possono essere richiesti nelle regioni di Sicilia, Sardegna, Puglia, Molise, Campania, Calabria, Basilicata, Abruzzo. Inoltre, rientrano tra i territori ammissibili anche le aree del cratere sismico di Umbria, Marche e Lazio e le isole minori lagunari, marine e lacustre del Centro e del Nord Italia.

Resto al Sud, quali partite Iva possono presentare domanda dei contributi?

Ammessi alla presentazione delle domande di Resto al Sud sono le partite Iva con un’età minima di 18 anni e massima di 55 anni. Anche per questa misura non ci sono bandi, graduatorie e scadenze. Le candidature, infatti, vengono prese in carico in base all’ordine di arrivo delle domande. Le istanze possono essere presentate da chi ha già un’attività di impresa dal 21 giugno 2017. Ma possono essere ammesse anche le imprese di futura nascita, da costituire entro i due o i quattro mesi dall’esito positivo della domanda. Inoltre, è necessario non aver ottenuto altre agevolazioni per l’autoimprenditorialità (negli ultimi tre anni) e non essere in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

In quali aree si possono richiedere i finanziamenti Resto al Sud?

I finanziamenti Resto al Sud possono essere richiesti per finanziare investimenti nei settori:

  • delle attività produttive nell’industria, nell’artigianato, nella trasformazione dei prodotti agricoli e della pesca;
  • che forniscono servizi a imprese e persone;
  • nel settore del turismo e del commercio;
  • nelle libere professioni, sia individuali che in forma societaria. In tal caso, la partita Iva non deve essere stata movimentata nei 12 precedenti la presentazione dell’istanza.

Partite Iva, quali spese sono ammissibili con Resto al Sud?

Con Resto al Sud, le partite Iva hanno la possibilità di coprire fino al 100% delle spese ammissibili. Il finanziamento massimo può arrivare a 50 mila euro, tranne nel caso dell’impresa individuale con unico soggetto (finanziamento fino a 60 mila euro). Le spese ammissibili riguardano:

  • la ristrutturazione o la manutenzione straordinaria dei beni immobili per un limite del 30% del totale delle spese;
  • l’acquisto di impianti, attrezzature e macchinari;
  • l’acquisizione di nuovi programmi informatici, servizi tecnologici e telecomunicazioni;
  • le spese per gestire l’impresa nel limite del 20% sul totale del progetto. Rientrano in queste spese quelle per le materie prime di di consumo, i canoni di locazione o di leasing, e le garanzie assicurative.

Partite Iva, con Resto al Sud coperto fino al 100% delle spese ammissibili

Gli incentivi possono arrivare al 100% delle spese ammissibili mediante due canali: un contributo a fondo perduto per il 50% e un finanziamento bancario per il restante 50%. Il finanziamento è garantito dal Fondo di garanzia delle piccole e medie imprese (Pmi).

Come presentare domanda per Resto al Sud?

Le partite Iva interessate a presentare domanda per i finanziamenti e i contributi a fondo perduto di Resto al Sud devono utilizzare la piattaforma messa a disposizione da Invitalia. La valutazione della pratica avviene entro i 60 giorni susseguenti alla presentazione della domanda. Anche per questa istanza sono necessarie le credenziali di accesso a Invitalia (Spid, Cie o Cns), l’indirizzo di posta elettronica certificato (Pec) e la firma elettronica.

Fattura elettronica allargata a tutti, in arrivo la riforma nella legge delega fiscale

La fattura elettronica allargata a tutti, anche ai contribuenti e alle partite Iva a regime forfettario che finora ne erano esenti. È quanto ci si aspetta dalla legge delega fiscale che ha già l’ok del governo. L’emendamento che prevede l’allargamento della fattura elettronica rientra in un pacchetto di provvedimenti che hanno come obiettivo quello di combattere l’evasione fiscale. Infatti, oltre all’obbligo di fattura elettronica per tutti, vi rientrano altre misure come:

  • l’obbligo di memorizzazione elettronica e della trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri;
  • l’utilizzo pieno dei dati dell’anagrafe tributaria;
  • lo scambio dei dati e il pieno utilizzo da parte delle banche delle informazioni fiscali, economiche e patrimoniali in collaborazione con la Pubblica amministrazione.

Obbligo di fatturazione elettronica esteso a tutti, anche alle partite Iva forfettarie: ecco le novità di oggi

Sono questi alcuni dei provvedimenti contenuti negli emendamenti sui quali il governo ha dato già l’ok nella legge fiscale. L’allargamento della fattura elettronica anche alle partite Iva a regime forfettario e a tutti i soggetti che attualmente ne sono esentati è atteso al voto di approvazione che potrebbe arrivare alla Camera il 28 marzo prossimo. Nello specifico emendamento che riguarda l’obbligo di fattura elettronica a tutti si fa riferimento agli obiettivi di riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale.

Quali altri provvedimenti sono attesi oltre all’obbligo di fattura elettronica per tutti?

Nella stessa direzione di contrasto all’evasione fiscale vanno gli altri provvedimenti della legge fiscale relativi alla trasmissione giornaliera dei corrispettivi; all’obbligo di memorizzare elettronicamente i corrispettivi stessi ; al pieno utilizzo dei dati dei contribuenti da parte delle banche in collaborazione con la Pubblica amministrazione. Il relativo emendamento ammette dunque lo scambio dei dati tra le banche e la Pa. I dati sono quelli economici, finanziari e patrimoniali che convergono nei sistemi informativi dell’anagrafe tributaria. Inoltre, il provvedimento prevede misure che comportino la prevenzione della reiterazione nel tempo dei comportamenti evasivi.

Fattura elettronica estesa a tutti, Bitonci: ‘È necessario affrontare tempi importanti come la riduzione delle tasse’

Sugli emendamenti alla legge fiscale che allargherebbero il perimetro di applicazione della fattura elettronica, si sono espressi Massimo Bitonci e Alberto Gusmeroli. “Risulta necessario prendersi tutto il tempo che serve per esaminare gli emendamenti – hanno affermato i due responsabili fiscali della Lega – Ma occorre affrontare temi importanti come il ridurre le tasse e le semplificazioni fiscali”. Accanto al pacchetto che prevede l’allargamento della fattura elettronica a tutti, infatti, è in arrivo venerdì prossimo anche un altro pacchetto di misure dove si affronteranno le aperture sulla flat tax e sul cashback fiscale. Ma anche la revisione del sistema delle deduzioni e delle detrazione, nonché dei regimi speciali dei prelievi.

Flat tax, la Lega insiste sullo scivolo a 100 mila euro e sull’abolizione dell’Irap per gli studi associati

Proprio le partite Iva a regime forfettario e la flat tax sono oggetto di richieste di Massimo Bitonci per le misure di riforma fiscale del decreto in arrivo. Bitonci ha sottolineato infatti come sia necessario mantenere il limite di flat tax per le partite Iva a 65 mila euro ma inserire uno scivolo di 2 anni con aliquota del 20% per i contribuenti che superino la soglia massima di flat tax. Il meccanismo, in altre parole, permetterebbe alle partite Iva a regime forfettario che superano il limite dei ricavi e dei corrispettivi annui dei 65 mila euro, di non dover cambiare il regime di partita Iva come avviene oggi. Le nuove regole andrebbero a vantaggio di chi aderisce regime fiscalmente più conveniente della partita Iva forfettaria.

Flat tax, la Lega chiede la no tax area fino a 10 mila euro e l’allargamento dell’esenzione Irap

L’ampiezza della platea delle partite Iva forfettarie porta l’esponente della Lega a ribadire che la flat tax deve rimanere e deve essere rivista per lo scivolo fino ai 100 mila euro. I forfettari sono in numero di due milioni sulle 5 milioni di attività economiche. Quasi una nuova partita Iva su due (il 46%) viene aperta in regime di flat tax. “È un sistema semplice, a bassa tassazione e concorrenziale al sommerso. Abbiamo chiesto una no tax area fino a 10 mila euro e l’abolizione dell’Irap anche agli studi associati e alle società di persone”, ha concluso Massimo Bitonci.

 

Il codice ATECO cos’è, a cosa serve e com’è fatto

Quando si apre una partita IVA il professionista o il lavoratore autonomo è obbligato, tra l’altro, pure a indicare ed a specificare all’Agenzia delle Entrate la tipologia di attività che intende svolgere. E questo avviene sempre attraverso la classificazione che è basata sui cosiddetti codici ATECO. Vediamo allora, per chi non lo sapesse in quanto magari sta valutando l’apertura di una partita IVA, cos’è il codice ATECO ed a cosa serve, ma anche com’è fatto.

Cos’è e a cosa serve il codice ATECO quando si apre una partita IVA

Nel dettaglio, agli occhi del Fisco, con il codice ATECO viene univocamente identificata e classificata l’attività svolta non solo ai fini fiscali, ma anche contributivi. Così come sempre tramite la classificazione ATECO possono essere effettuate sulle partite IVA delle analisi di tipo statistico. In più, chi apre la partita IVA deve comunicare il codice ATECO pure al momento della denuncia di inizio dell’attività nel registro delle imprese.

Aperta la partita IVA con il relativo e corrispondente codice ATECO, inoltre, il professionista, il piccolo imprenditore o il lavoratore autonomo è tenuto in via obbligatoria pure a comunicare tempestivamente ogni eventuale variazione dell’attività economica associata ad un nuovo codice ATECO.

Com’è fatto il codice ATECO, dalle sezioni alle sottocategorie

Riguardo a com’è fatto il codice ATECO, questo risulta essere composto da una combinazione alfanumerica, quindi da numeri ed anche da lettere. In particolare, l’ATECO si compone di 6 parti. Nella fattispecie, le sezioni, le divisioni, i gruppi, le classi, le categorie e le sottocategorie. Nel dettaglio, le sezioni del codice ATECO sono rappresentate da una lettera, 2 cifre per le divisioni, 3 cifre per i gruppi, 4 cifre per le classi, 5 cifre per le categorie e 6 cifre per le sottocategorie.

Per la standardizzazione a livello europeo, il codice ATECO risulta essere classificato in maniera univoca fino alla quarta cifra. Mentre per i livelli 5 e 6, ovverosia per le categorie e per le sottocategorie, possono esserci delle differenze tra un Paese e l’altro. E questo, al fine di meglio cogliere le specificità nazionali così come riporta il sito Internet di Unioncamere.

Come trovare il giusto codice ATECO per l’avvio di un’attività a partita IVA

Ai fini dell’avvio di un’attività a partita IVA, quindi, come trovare il codice ATECO giusto da associare? Al riguardo è possibile chiedere supporto, assistenza e consulenza, per esempio, al proprio commercialista di fiducia. Oppure si può fare tutto in proprio dal portale ateco.infocamere.it. Che è proprio il sito Internet dedicato per l’inizio dell’attività d’impresa.

Autonomi che continuano a lavorare dopo la pensione: chi e quanti sono?

Sono in crescita i lavoratori autonomi e, nello specifico, i liberi professionisti che continuano a lavorare anche dopo essere andati in pensione. Il numero dei pensionati attivi è raddoppiato negli ultimi 15 anni. A eccezione dei geometri, tutti i professionisti iscritti alle Casse previdenziali continuano a lavorare anche dopo aver ottenuto il primo assegno di pensione. Soprattutto gli avvocati e i commercialisti, ma anche le altre libere professioni.

Lavoratori autonomi e liberi professionisti che continuano a lavorare dopo la pensione: quali tendenze?

La crescita del numero dei liberi professionisti che continua a lavorare anche dopo la pensione, rimanendo dunque attivi nel mondo del lavoro, è in costante aumento da 15 anni a questa parte. Nei quattro anni dal 2017 al 2020 (ultimo anno per il quale si hanno a disposizione dei dati), la crescita dei lavoratori autonomi pensionati ancora attivi è pari al 19%. La percentuale ricalca quella dei professionisti pensionati iscritti alle Casse previdenziali. I numeri degli ultimi quattro anni confermano una crescita che, in realtà, è iniziata già dal 2005. Una tendenza che, analizzandola, potrebbe andare a braccetto con le misure previdenziali introdotte nel corso degli ultimi decenni.

Liberi professionisti, quali sono quelli che lavorano di più dopo la pensione?

I numeri sui lavoratori autonomi e sui liberi professionisti pensionati ma ancora attivi nel mondo del lavoro sono stati forniti da Adepp. Se per i geometri si riscontra una flessione tra chi continua a lavorare dopo la pensione, i numeri sono in crescita per tutti gli altri professionisti. I biologi e i medici non dipendenti, ad esempio, mostrano una crescita del 42%. Ma i numeri più alti si riscontrano tra i veterinari, attivi dopo la pensione con crescita del 75% dei casi negli ultimi quattro anni.

Quanti sono i liberi professionisti che preferiscono continuare a lavorare anche dopo la pensione?

In totale, dunque, su un numero pari a 150.9891 pensionati tra i professionisti nel 2020, corrispondenti al 21% del totale dei pensionati, gli attivi nello stesso anno sono stati 81.697. Ovvero il 54% medio dei liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali ha preferito continuare a lavorare anche dopo la pensione. Il dato esprime, negli ultimi quattro anni, la crescita del 21% del numero dei professionisti andati in pensione e, parallelamente, l’aumento del 19% di chi rimane a esercitare la professione. È possibile prevedere una classifica dei professionisti che maggiormente tendono a rimanere a lavoro dopo la pensione.

Commercialisti, psicologi e avvocati, quanti rimangono a lavorare dopo la pensione?

I commercialisti iscritti alla Cassa previdenziale che nel 2020 sono andati in pensione sono stati pari a 6.364, dei quali 4.756 hanno continuato a lavorare. Il rapporto tra pensionati attivi sul numero di pensionati è pari, dunque, al 75%. Ciò significa che tre commercialisti su quattro preferiscono continuare a lavorare dopo la pensione. Percentuali in linea anche quelle degli psicologi dell’Enpap (4.842 in pensione nel 2020 ma 3.371 ancora a lavoro) con un rapporto tra attivi su pensionati pari al 70%. E degli avvocati: 19.819 in pensione nel 2020 ma 13.735 rimasti a lavoro per una percentuale attivi/pensionati del 69%.

Architetti, ingegneri e ragionieri: quanti preferiscono continuare a lavorare dopo la pensione?

A scorrere la classifica si ritrovano gli architetti e gli ingegneri dell’Inarcassa. A fronte di 22.869 pensionamenti nel 2020, il numero dei professionisti rimasti a lavoro è stato pari a 15.657. I rapporto tra pensionati attivi su pensionati è pari al 68%. A seguire i medici liberi professionisti dell’Enpam. Su 44.699 nuovi pensionati nel 2020, 24.950 sono rimasti a lavorare (il 56%). I ragionieri iscritti alla Cassa previdenziale andati in pensione nel 2020 sono stati 7.293, metà dei quali (49%) hanno preferito continuare a lavorare (3.539).

Tutte le libere professioni e quanti lavorano dopo la pensione

A seguire nella classifica dei liberi professionisti che rimangono a lavoro anche dopo essere andati in pensione si ritrovano:

  • i biologi dell’Enpab (1.610 in pensione, 710 rimasti a lavoro, il 44% degli attivi rispetto ai pensionati);
  • i periti industriali (4.413 in pensione, 1.963 ancora attivi, pari al 44%);
  • i pluricategorie (2.704 in pensione, 1.353 ancora attivi pari al 41%);
  • i consulenti del lavoro (8.427 in pensione, 3.641 rimasti a lavoro, il 43% ancora in attività);
  • i periti agrari (602 in pensione, 234 ancora attivi pari al 39%);
  • i geometri (19.094 in pensione, 6.635 ancora attivi ma in discesa del 7%, il 35% del totale dei nuovi pensionati continua a esercitare la professione);
  • gli agrotecnici (39 in pensione, 12 ancora attivi pari al 31%);
  • gli infermieri dell’Enpapi (2.776 in pensione, 419 ancora attivi pari al 15%);
  • i veterinari dell’Enpav (4.873 in pensione, 722 ancora attivi con percentuale di crescita del 75% per un totale del 15% dei nuovi pensionati ancora attivi).

Credito di imposta per pc, stampanti e software ai professionisti: scadenza 31 dicembre 2022

Il credito di imposta ai professionisti per l’acquisto di pc, stampanti e software sarà possibile solo fino al 31 dicembre 2022. Si tratta di agevolazioni per investimenti in beni strumentali nuovi rientranti nella misura del credito 4.0. Il beneficio fiscale del credito di imposta 4.0 è stata prorogato fino a tutto il 2025, ma non per queste tipologie di beni, indicati come “generici“. Tali beni possono beneficiare del credito di imposta per il loro acquisto e sono accessibili ai liberi professionisti, per l’appunto fino al termine del 2022.

Credito di imposta 4.0 per acquisto di pc, stampanti e software: cosa sono i beni generici?

Fino al 31 dicembre 2022 i liberi professionisti possono acquistare pc, stampanti e software rientranti nei beni generici. Si tratta di beni diversi da quelli ad alto contenuto tecnologico individuati dagli allegati a) e b) della legge numero 232 del 2016. Rientrano tra i beni generici, pertanto:

  • i computer;
  • le stampanti,
  • le altre macchine ordinarie per l’ufficio;
  • le attrezzature necessarie allo svolgimento della professione;
  • i programmi gestionali e software, programmi informatici. Sono da escludere i canoni periodici su questi prodotti;
  • gli arredi.

Rimane invariato, è ovvio, che i beni oggetto di credito di imposta debbano possedere il carattere della strumentalità. Ovvero devono essere utilizzati per svolgere l’esercizio della professione. Risulta di conseguenza escluso l’utilizzo personale.

Credito di imposta su beni generici, quali sono le spese ammissibili all’agevolazione fiscale?

L’acquisto di computer, stampanti, software e degli altri prodotti generici rientra negli investimenti differenti da quelli materiali e immateriali 4.0 dei prodotti ad alto contenuto tecnologico degli allegati a) e b) della legge numero 232 del 2016. La successiva legge numero 178 del 2020, al comma 1061, ha consentito ai liberi professionisti e a chi svolge l’attività di arti di poter beneficiare del credito di imposta legato all’acquisto dei beni generici. I professionisti risultano esclusi, tuttavia, dal poter beneficiare del credito di imposta sull’acquisto dei beni ad alto contenuto tecnologico. Si tratta dei beni materiali e immateriali 4.0 elencati negli allegati a) e b) della legge 232 del 2016.

Credito di imposta, in quale misura si beneficia per l’acquisto di computer, stampanti e software?

Di conseguenza, la legge di Bilancio 2022 non ha previsto delle modifiche per gli investimenti in beni generici. L’agevolazione sull’acquisto di pc, stampanti e software e degli altri prodotti generici risulta ridotta rispetto al 10% o al 15% del 2021.  Il credito di imposta per tutto il 2022 risulta fissato al 6%. L’utilizzo del credito di imposta si può fare in tre quote annuali di uguali importi. Non è consentito utilizzare il credito di imposta tutto in un’unica soluzione. L’acquisto dei beni generici può essere concluso anche entro il 31 dicembre 2023, ma a determinate condizioni. Infatti, entro la fine del 2022 l’ordine deve essere stato concluso dal venditore e deve essere stato versato un acconto pari al 20%.

Credito di imposta 4.0 su acquisto dei beni generici, c’è un tetto minimo di spesa?

Sul tetto di spesa minimo rientrante nella disciplina dell’acquisto dei beni generici (e in generale sui beni 4.0) è intervenuta l’Agenzia delle entrate con la circolare 9/E del 2021. Nel chiarimento fornito, l’Agenzia delle entrate ha stabilito che l’acquisto non richiede un investimento minimo in termine di spesa. È necessario tuttavia rispettare il carattere della strumentalità del bene rispetto all’attività esercitata dai professionisti. Per tale motivo, l’Agenzia ha chiarito che per i beni materiali strumentali dal costo unitario fino a 516,46 euro si può procedere con il credito di imposta, a prescindere dal fatto che il professionista abbia scelto di dedurre o meno l’intero costo sostenuto per l’acquisto nell’esercizio in cui abbia sostenuto il costo stesso.

Pensione integrativa anche ai professionisti e lavoratori autonomi da aprile 2022

In arrivo le pensioni integrative anche ai liberi professionisti e ai lavoratori autonomi. La sottoscrizione alla previdenza complementare sarà possibile a partire dal mese di aprile 2022. La decisione è stata presa dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip) sulla possibilità di accesso, per le partite Iva, all’integrazione della previdenza complementare con Fon.te. Si tratta di un fondo pensione già attivo a favore dei dipendenti delle imprese del settore terziario.

Previdenza complementare, per la pensione integrativa dei professionisti e partite Iva c’è Fon.te

Il fondo pensione Fon.te nei giorni scorsi ha diffuso la comunicazione della possibilità di adesione alla pensione complementare anche per i liberi professionisti e i lavoratori autonomi. Nell’informativa si legge che “Fon.Te, il Fondo pensione complementare per i dipendente da aziende del terziario, estende la platea a tutti i liberi professionisti e lavoratori autonomi che si trovano a lavorare nei settori di interesse del Fondo. A partire da aprile 2022, grazie all’approvazione della Commissione di Vigilanza sui Fondi pensione (Covip), i commercianti potranno integrare la propria pensione aderendo a Fon.te, il terzo fondo negoziale italiano per numero di iscritti”.

Fondo pensione, i vantaggi dell’adesione con obiettivo la previdenza complementare

L’adesione alla previdenza complementare comporta il vantaggio di poter costruire una pensione futura aggiuntiva. L’obiettivo è quello di di incrementare, in modo significativo, il livello delle prestazioni pensionistiche, una volta usciti dal mondo del lavoro. Dai dati del fondo pensione, l’adesione dei lavoratori del settore terziario alla termine del 2021 era in numero di 9.745 milioni. Nello scorso anno il fondo pensione ha aumentato il numero di iscritti di oltre 400 mila aderenti rispetto al 2020. Le risorse destinate ai trattamenti previdenziali a fine 2021 ammontavano a 212.6 miliardi di euro, in crescita di circa 15 miliardi rispetto al 2020. In aumento, nello scorso anno, anche gli incassi dei contributi da fondi negoziali, Pip e fondi pensione aperti. In tutto, gli aumenti sono stati di 13,3 miliardi di euro, circa 900 milioni in più rispetto al 2020.

Fondi pensione, come aderire alla previdenza complementare?

Per aderire al fondo pensione Fon.te. si può procedere in maniera esplicita o tacitamente. L’adesione esplicita comporta la consegna al dipendente della parte I della Nota Informativa (“Le informazioni chiave per l’aderente”) e l’Appendice informativa sulla sostenibilità. Dopo averne preso visione, l’aderente dovrà procedere con la compilazione del Modulo di adesione. L’adesione tacita si realizza quando il dipendente, dopo 6 mesi dall’assunzione, non abbia manifestato alcuna volontà in merito alla destinazione del Trattamento di fine rapporto maturato.

Come si aderisce a un fondo pensione versando il Trattamento di fine rapporto e un contributo aggiuntivo?

In attesa di maggiori indicazioni dal fondo pensione per l’adesione alla previdenza complementare ai liberi professionisti e ai lavoratori autonomi, è necessario specificare che se il lavoratore abbia già scelto di destinare il Trattamento di fine rapporto (Tfr) al fondo pensione è necessario compilare il Modulo di adesione. Il documento contiene una prima parte di dati anagrafici; l’indicazione se si aderisce a un altro fondo pensione da indicare; la scelta del comparto di investimento; la modalità di adesione.

Modalità di adesione al fondo pensione: come procedere con il versamento del Tfr?

Per quest’ultimo punto, si può chiedere di aderire con il solo versamento del Trattamento di fine rapporto (Tfr); oppure oltre al Tfr, si può contribuire con un versamento minimo a carico del lavoratore stabilito da contratto. Quest’ultimo dà diritto al contributo da parte del datore di lavoro. Infine si può aderire versando, oltre al Trattamento di fine rapporto, anche un contributo diverso dal minimo stabilito dal contratto, nella percentuale desiderata dal sottoscrivente.

Lavoro occasionale, i professionisti sono obbligati alla comunicazione?

I liberi professionisti, nell’esercizio della propria attività, sono obbligati alla comunicazione all’Ispettorato Nazionale del Lavoro per i lavori occasionali? Sul punto è intervenuto lo stesso Ispettorato del Lavoro con la nota numero 109 del 2022 stabilendo che i liberi professionisti non sono obbligati alla nuova “Co” per il lavoro occasionale. Infatti i liberi professionisti non risultano qualificati come imprese.

Liberi professionisti esonerati dal nuovo obbligo di comunicazione per attività occasionale

Il chiarimento dell’Ispettorato del Lavoro, dunque, stabilisce che i liberi professionisti non sono soggetti a dover comunicare, obbligatoriamente, l’avvio dell’attività come invece succede per i lavoratori autonomi nelle attività occasionali. Esempi di mancato obbligo della comunicazione all’Ispettorato si ravvisano nelle attività dei redattori degli articoli o dei correttori di bozze, o per i progettisti di grafica.

Lavoro occasionale, quando non si deve fare la comunicazione all’Ispettorato?

L’obbligo di comunicazione per l’inizio di un’attività occasionale è previsto dalla legge numero 215 del 2021. La norma è stata introdotta per contrastare le forme di irregolarità di lavoratori autonomi occasionali. L’obbligo di comunicare l’inizio dell’attività rientra nell’ambito della normativa sulla sospensione dell’attività di impresa per la quale gli imprenditori risultano committenti dei lavoratori autonomi occasionali. L’obbligo della comunicazione dei lavoratori occasionali non sussiste per le attività svolte nei confronti:

  • della Pubblica amministrazione;
  • delle famiglie datrici di lavoro domestico;
  • dei liberi professionisti;
  • degli enti non profit.

Lavoro occasionale, chi risulta obbligato alla comunicazione all’Ispettorato?

Sono obbligati alla comunicazione i lavoratori autonomi occasionali rientranti nella disciplina dell’articolo 2222 del Codice civile. Non devono, altresì, fare la comunicazione i lavoratori con rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.); le prestazioni occasionali rientranti nei vecchi voucher (che hanno altri obblighi di comunicazione); le professioni intellettuali; le attività autonome soggette al regime Iva.

Lavoro occasionale, quali attività non sono obbligati alla comunicazione?

Non risultano inoltre soggetti alla comunicazione per le attività occasionali:

  • l’incaricato alle vendite occasionali;
  • il procacciatore d’affari occasionale;
  • il lavoro autonomo occasionale a favore delle associazioni dilettantistica sportiva e società sportiva dilettantistica;
  • gli enti pubblici non economici sono esonerati dalla nuova “Co”;
  • prestazioni autonome dello spettacolo.

 

Irap, la devono pagare anche le imprese familiari e coniugali?

Con la riforma fiscale e l’abolizione dell’Irap per le persone fisiche, l’Imposta regionale sulle attività produttive deve essere pagata dalle imprese familiari? Al quesito ha risposto l’Agenzia delle entrate fornendo indicazioni relative all’esenzione dell’imposta anche per le imprese familiari. Nel chiarimento, infatti, l’Agenzia delle entrate ha tenuto maggiormente conto della natura individuale e non associativa delle imprese familiari.

Versamento Irap 2022, chi non deve versare l’imposta?

Nella risposta fornita dall’Agenzia delle entrate si parte al presupposto dell’esenzione dal pagamento dell’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap) prevista dalla legge di Bilancio 2022. Al comma 8 dell’articolo 1, della legge numero 234 del 2021, il governo ha infatti previsto che, a partire dal 2022, l’Irap non debba essere pagata più dalle persone fisiche che esercitino le attività commerciali oppure le arti e le professioni. Le attività esentate dal pagamento dell’Irap sono quelle elencate dalle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 3 del decreto legislativo numero 446 del 1997.

Irap 2022, i chiarimenti su chi risulta esentato dal pagamento dell’imposta

In altre parole, sono esentati dal pagamento dell’Irap tutte le persone fisiche che siano titolari di partita Iva individuale. Nell’esercizio della professione, le partite Iva devono svolgere un’attività individuale, qualunque essa sia, anche in forma di impresa, purché individuata tra i commercianti, gli artigiani, i prestatori di servizi. Sono inclusi dunque i lavoratori autonomi.

Pagamento Irap 2022, quali imprese non devono versarla?

Nel quesito, l’Agenzia delle entrate ha risposto che l’Irap non deve essere pagato dalle imprese individuali a partire dall’anno di imposta 2022. L’esenzione vale anche se le imprese individuali abbiano dei dipendenti o rientrino tra le imprese familiari. Conseguentemente, anche le imprese individuali che abbiano collaboratori e dipendenti e a prescindere dal capitale investito, proprio perché individuali, sono esentate dal pagamento dell’Irap. L’esenzione vale anche per i professionisti che si avvalgano di prestazioni di servizi offerti da società esterne.

Irap, qual è l’impresa familiare?

Anche le imprese familiari sono riconducibili a quelle individuali. Secondo quanto disciplina l’articolo 230 bis del Codice civile, “salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi”.

Allargamento dell’esenzione Irap alle imprese familiari

Nella risposta fornita dall’Agenzia delle entrate in merito all’esenzione dell’Irap, si evidenzia che le imprese familiari “hanno natura individuale e non collettiva e associativa”. Pertanto, risulta imprenditore solo “il titolare dell’impresa, il quale la esercita assumendo in proprio diritti ed obbligazioni, oltre la piena responsabilità verso i terzi”. Con queste spiegazioni, l’Agenzia delle entrate ha confermato, dunque, che anche le imprese familiari rientrano tra i soggetti ai quali va l’esonero dell’Irap con decorrenza dal 1° gennaio 2022.

Imprese familiari esenti dall’Irap, e le imprese coniugali?

Non vi sono, ad oggi, chiarimenti relativi alle imprese coniugali di cui all’articolo 177 del Codice civile. In base alla Giurisprudenza, infatti, le imprese familiari sono costituite dopo il matrimonio e gestite da entrambi i coniugi. Dal punto di vista fiscale, le imprese familiari sono equiparabili alle società di persone (o società di fatto), a maggior ragione che i redditi devono essere dichiarati nel modello Sp. Nella dichiarazione, inoltre, i redditi vanno attribuiti pro quota ai due coniugi nel quadro Rh del modello Pf. Si ritiene, pertanto, che le imprese coniugali debbano continuare a versare l’Irap alla pari di tutte le imprese commerciali. 

Pensione di vecchiaia: come cambia in base all’aspettativa di vita?

Tra gli aspetti più importanti per costruire una buona pensione di vecchiaia, sicuramente gli indici di aspettativa di vita rientrano tra gli elementi decisivi. L’aspettativa di vita, in particolare, condiziona l’accesso alla pensione di vecchiaia. Nel dettaglio, l’aspettativa di vita potrebbe ritardare o, nella migliore delle ipotesi, lasciare inalterati i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia.

Aspettativa di vita per il calcolo dei requisiti delle pensioni, in cosa consiste?

Il requisito richiesto per accedere alla generalità delle pensioni o il requisito contributivo per le pensioni dove non è richiesto l’elemento anagrafico, è adeguato ogni due anni all’aspettativa di vita media calcolato dall’Istat. Qualora risultasse un aumento della speranza di vita, l’età pensionabile si incrementa fino a un massimo di tre mesi; contrariamente, se dai dati Istat viene riscontrato un decremento dell’aspettativa di vita, il requisito anagrafico rimane bloccato con scomputo delle riduzioni nell’adeguamento successivo.

Pensioni di vecchiaia, quali sono i requisiti anagrafici di uscita nel 2022?

Per la pensione di vecchiaia, l’attuale requisito anagrafico è fissato a 67 anni di età. Tale requisito, già calcolato nel precedente biennio, nel 2022 rimarrà inalterato. Per il biennio successivo, ovvero per i lavoratori in uscita dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2024, è stato già confermato che il requisito anagrafico rimarrà invariato. Tale riscontro dei dati demografici dell’Istat sull’aspettativa di vita deriva dall’aver preso in considerazione, nel calcolo della speranza di vita, del primo anno (il 2020) della pandemia da Covid-19. L’emergenza sanitaria ed economica ha determinato il conseguente decremento dell’aspettativa di vita. L’andamento in decrescita della speranza di vita non implicherà, dunque, un aumento dell’età per la pensione.

Pensioni, in che modo l’aspettativa di vita condiziona l’accesso al pensionamento?

L’aspettativa di vita contribuisce all’accesso della pensione dal 2009. Si tratta di una variabile che manda in avanti, incrementando l’età di uscita, l’accesso alla pensione di vecchiaia. La speranza di vita collega in maniera diretta i requisiti anagrafici (o contributivi) degli ingressi agli adeguamenti Istat. Inoltre, il fattore statistico viene attualmente aggiornato ogni due anni, mentre in passato l’aggiornamento avveniva ogni triennio. Dunque l’aggiornamento dei requisiti di pensione avvengono con maggiore frequenza rispetto a quanto succedeva nei primi anni di introduzione del meccanismo della speranza di vita.

Pensioni di vecchiaia e aspettativa di vita: come funziona il meccanismo di adeguamento?

I dati dell’Istat sulla speranza di vita vengono consolidati da decreti del ministero dell’Economia e delle Finanze ogni due anni. Nel caso in cui i dati demografici dell’Istat fanno registrare dei miglioramenti della vita, in particolare nella lunghezza della della durata della stessa, differisce in avanti l’ingresso al trattamento di pensione dei lavoratori. La tutela nel meccanismo dell’aspettativa di vita consiste nel massimo di maggiorazione, per ciascun biennio, di tre mesi. Il prossimo incremento della pensione di vecchiaia, quello del 2025-2026, potrebbe pertanto portare a una pensione di vecchiaia di 67 anni e tre mesi. Non di più.

Pensioni anticipate, come funziona con la speranza di vita?

Laddove non vi sono requisiti anagrafici, l’aggiornamento della speranza di vita incide sull’altro requisito, quello contributivo. È il caso della pensione anticipata dei soli contributi che, attualmente si raggiunge con:

  • 42 anni e dieci mesi di contributi per gli uomini, a prescindere dall’età di uscita;
  • 41 anni e dieci mesi di contributi per le donne, indipendentemente dall’età di uscita.

I requisiti di uscita per la pensione anticipata rimarranno inalterati fino a tutto il 2026. Il blocco dei requisiti richiesti è stato introdotto con il decreto numero 4 del 2019, lo stesso provvedimento che ha decretato la sperimentazione di tre anni di quota 100. Il prossimo aggiornamento dei requisiti contributivi è previsto a partire dal 1° gennaio 2027.

Pensioni di vecchiaia, come condiziona le uscite dei liberi professionisti? L’eccezione alla speranza di vita

All’interno della previdenza dei liberi professionisti, spetta a ogni Cassa previdenziale interpretare e adeguare i propri requisiti all’aspettativa di vita. Per alcune Casse previdenziali, come l’Enpacl dei consulenti di lavoro, non c’è una diretta correlazione tra aumenti della speranza di vita e incremento dei requisiti di pensionamento. Vi è piuttosto una maggiore gradualità nell’applicare gli adeguamenti e gli incrementi della speranza di vita.

Pensioni di vecchiaia liberi professionisti, il caso dei consulenti del lavoro

I requisiti per la pensione di vecchiaia dei consulenti di lavoro risultano modificati dalla speranza di vita con adeguamenti differenti rispetto a quanto succede per la pensione pubblica. Tuttavia, l’età necessaria per andare in pensione di vecchiaia dei consulenti del lavoro è fissata a 69 anni nel 2022 e a 70 anni a partire dal 2025. La contribuzione necessaria è pari a 5 anni di versamenti, ma occorre guadagnare una pensione minima annuale di 10.920 euro. Pertanto, se all’età di uscita per la pensione di vecchiaia non venisse raggiunto il requisito economico della pensione, l’accesso al trattamento si sposterebbe in avanti finché non si maturi il requisito richiesto. È previsto un limite di età, in ogni modo, per il raggiungimento di questo requisito.

Aspettativa di vita, come determina chi può andare in pensione anticipata di vecchiaia per invalidità?

Gli adeguamenti periodici dei requisiti anagrafici dettati dalla speranza di vita non si applicano ai lavoratori che perdono il titolo abilitativo per raggiunti limiti di età. La speranza di vita, tuttavia, si applica alla pensione di vecchiaia anticipata per invalidità. Quest’ultima formula di uscita è riservata ai dipendenti del settore privato con un indice di invalidità di almeno l’80% e si può agganciare non più a 55 anni di età per le donne e a 61 per gli uomini come in passato, ma alle rispettive età di 56 anni e di 61 anni. La misura, infatti, consiste in una deroga al requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia ordinaria, e non per uno specifico trattamento per invalidità.

 

 

Contributi a fondo perduto imprese Campania: ammessi a presentare domanda anche i professionisti

Si potrà presentare domanda a partire dal 10 febbraio 2022 per i contributi a fondo perduto e i finanziamenti a tasso zero per le imprese produttive della Regione Campania. Si tratta di un sostegno al tessuto produttivo delle imprese locali che andrà a favore anche dei liberi professionisti per l’acquisto di impianti, macchinari e beni intangibili. L’agevolazione prevede anche i processi di ristrutturazione e di riorganizzazione aziendale.

Contributi a fondo perduto, chi può presentare domanda per il bando della Regione Campania?

Potranno presentare domanda per i contributi a fondo perduto previsti dal bando della Regione Campania:

  • le microimprese e le piccole imprese che siano iscritte nel Registro delle imprese delle Camere di commercio competenti nel territorio. L’iscrizione deve essere stata fatta almeno 12 mesi prima alla pubblicazione del bando dei contributi nel Bollettino Ufficiale della Regione Campania;
  • i liberi professionisti, titolari di partita Iva da non meno di 12 mesi a partire dalla pubblicazione del bando sul Burc.

Bando Campania per contributi a imprese e partite Iva: quali sono i requisiti?

I requisiti per poter presentare domanda al bando dei contributi a fondo perduto e ai finanziamenti devono essere posseduti alla data dell’invio della domanda stessa. In particolare, a pena di inammissibilità della domanda stessa, è necessario:

  • esercitare l’attività economica che non sia stata esclusa secondo quanto prevede il Regolamento Ue numero 1407 del 2013. Nel caso in cui l’attività dovesse essere esclusa, è necessario disporre di un sistema adeguato di separazione delle attività o di distinzione dei costi;
  • l’impresa richiedente deve avere la capacità di restituire il finanziamento;
  • il soggetto richiedente deve avere almeno un’unità locale nel territorio della Campania. Se si tratta di impresa la sede è quella dove si svolge abitualmente l’attività produttiva; per i professionisti la sede deve essere comprovata dal certificato di attribuzione della partita Iva.

Contributi a fondo perduto e finanziamenti Campania: quali sono le spese ammissibili?

Le spese ammesse per i contributi a fondo perduto e i finanziamenti del bando della Regione Campania riguardano:

  • gli impianti e i macchinari, nuovi di fabbrica, strettamente occorrenti al ciclo produttivo o al servizio reso dall’impresa. Sono incluse anche le macchine elettroniche e gli hardware;
  • le opere di impiantistica che consentano di migliorare l’efficienza energetica. Queste spese sono ammissibili nel limite massimo del 10% rispetto all’investimento complessivo ammissibile;
  • i servizi reali, connessi a risolvere i problemi gestionali, tecnologici, organizzativi, commerciali e produttivi. Queste spese sono ammissibili nel limite massimo del 30% rispetto all’investimento complessivo ammissibile;
  • i sistemi, le piattaforme, le applicazioni, i software e i programmi informatici;
  • le spese sostenuti per gli studi di fattibilità, per l’amministrazione, per il rilascio delle attestazioni tecniche e contabili e le garanzie a copertura di finanziamenti. Queste spese sono ammissibili nel limite massimo del 10% rispetto all’investimento complessivo ammissibile.

Quale fondo perduto e finanziamento per le imprese nel bando della Regione Campania?

I contributi a fondo perduto e i finanziamenti del bando alle imprese e ai professionisti della Regione Campania prevedono la copertura delle spese ammissibili del 100% mediante:

  • il 50% delle spese ammissibili a titolo di contributo a fondo perduto;
  • il restante 50% si può finanziare con il tasso zero.

Il finanziamento prevede una durata massima di sei anni. Nei primi cinque anni le rate sono da versare trimestralmente e sono posticipate a quote capitale costanti con un anno di differimento che parte dalla data di erogazione dell’anticipazione. Il tasso è pari a zero.

Contributi a fondo perduto imprese Campania: come e quando si presenta la domanda?

La domanda per i contributi a fondo perduto della Regione Campania può essere presentata a partire dal 10 febbraio 2022. La data ultima per inoltrare l’istanza è fissata al 14 marzo 2022. L’accoglimento delle domande prevede la selezione e la costituzione di una graduatoria con il punteggio assegnato sulla base dei criteri di valutazione fissati dal bando.