Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate ammette d’aver commesso un errore

È arrivato dal Fisco un avviso di pagamento? Oppure, da parte dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione è addirittura arrivata una cartella esattoriale relativa a tasse o tributi già pagati, o comunque non dovuti? Niente paura, in quanto può capitare anche al Fisco di sbagliare! Pur tuttavia, il cittadino per far valere le proprie ragioni deve comunque attivarsi. Vediamo allora cosa fare e cosa succede se l’Agenzia delle Entrate ammette d’aver commesso un errore.

Ecco cosa succede se l’Agenzia delle Entrate ammette d’aver commesso un errore

Nella maggioranza dei casi, quando l’Agenzia delle Entrate invia la cartella esattoriale, questa, se la pretesa è illegittima, difficilmente sarà annullata se il contribuente non si oppone. Al riguardo in Italia c’è uno strumento che in questi casi tutela e protegge il cittadino, e che obbliga il Fisco ad un riesame dell’atto. Che può portare poi proprio il Fisco ad ammettere d’aver commesso l’errore e di annullare l’atto stesso.

Si tratta, nello specifico, della cosiddetta istanza di autotutela che è finalizzata a risolvere la potenziale lite, tra il Fisco ed il contribuente, in maniera bonaria. Quindi, senza andare subito a ricorrere alla giustizia tributaria.

Come funzione l’autotutela per annullare un atto del Fisco che è illegittimo

All’ufficio del Fisco competente, per avvalersi dell’autotutela il contribuente non deve far altro che presentare, in carta libera, una domanda con l’esposizione sintetica dei fatti per cui l’atto è illegittimo. Allegando pure tutta la documentazione necessaria affinché il cittadino possa, con le prove, far valere le proprie ragioni.

L’istanza in autotutela, quindi, deve essere presentata nel migliore dei modi. Spiegando nella domanda il motivo per cui si ritiene che l’atto sia illegittimo, ed anche tutta la documentazione che è poi determinante per far cambiare idea al Fisco nell’ammettere d’aver fatto un errore.

Nella maggioranza dei casi, infatti, l’atto sarà annullato solo fornendo dei dati, delle informazioni e dei documenti che al Fisco non erano noti al momento dell’emissione della cartella esattoriale. In più, occorre fare massima attenzione al fatto che la presentazione dell’istanza in autotutela, in ogni caso, non andrà a bloccare la decorrenza dei termini al fine di ricorrere al giudice tributario.

Come, quando e perché il Fisco può commettere un errore

Su come, su quando e sul perché il Fisco può commettere un errore, per le cartelle esattoriali, le ragioni possono essere molteplici. Per esempio, può esserci stato un errore di persona o di calcolo. Oppure il contribuente ha commesso un errore materiale. Oppure ancora il Fisco per qualche ragione non ha potuto prendere in considerazione dei pagamenti che, invece, sono stati regolarmente eseguiti.

Con il Fisco che ammette l’errore l’atto illegittimo non solo viene annullato, ma a cascata perdono di efficacia ai fini della riscossione pure tutti gli altri atti ad esso consequenziali. In più, se nel frattempo il contribuente ha versato in tutto o in parte le tasse, queste saranno obbligatoriamente restituite dall’Erario proprio sulla base degli atti che sono stati annullati a seguito della presentazione dell’istanza in autotutela.

Come vedere i debiti all’Agenzia delle Entrate?

A volte si ha l’impressione di avere tutto sotto controllo, altre volte no. A tal proposito, può capitare di voler accertarsi della presenza o meno di debiti verso l’Agenzia delle Entrate. A questo punto, necessita un controllo della propria posizione debitoria recandosi direttamente a uno sportello dell’Ufficio o più semplicemente tramite i servizi telematici che la stessa A.D.E. mette a disposizione per qualsiasi contribuente.

Tra l’altro, il periodo più adatto è quello nel quale si sente spesso parlare di rottamazione dei debiti, pace fiscale, saldo e stralcio. Insomma, proprio quando farebbe comodo poter sistemare nel modo meno oneroso possibile un’eventuale posizione debitoria nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, prima che possa arrivare qualche avviso. Quali sono tutti gli strumenti e come utilizzarli che l’Agenzia delle Entrate ci mette a disposizione, lo scopriamo in questo articolo.

Come controllare eventuali debiti con l’Agenzia delle Entrate?

Per scoprire la propria posizione debitoria con il Fisco, la prima cosa da fare è poter recarsi fisicamente allo sportello dell’Agenzia delle Entrate dedicato al contribuente a cui verranno rilasciati tutti i documenti relativi. Laddove, eventualmente risulti un particolare debito a carico del richiedente, quest’ultimo riceverà gli estratti di ruolo aggiornati che non sono altro i documenti che attestano la descrizione dettagliata delle singole cartelle esattoriali, dei vari debiti e dell’ente che vanta i crediti nei confronti del contribuente, dove sono specificate le sanzioni, spese e interessi legali che dal 1° gennaio 2020 sono fissati allo 0,05% annuo.

Per evitare inutili code e perdite di tempo eccessive o addirittura correre il rischio di non essere ricevuto, si può chiedere un appuntamento prima di andare all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate Riscossione competente del territorio di residenza del contribuente, utilizzando il servizio prenota ticket presenta nell’area pubblica del sito dell’ente o sull’App Equiclick. In ambo i casi è possibile scegliere il giorno e la fascia oraria libera.

Se non si ha la possibilità di raggiungere lo sportello, si può lasciare una delega a una persona di fiducia o accedere tramite lo sportello digitale usando le credenziali d’accesso per entrare nell’area riservata. Il risultato sarà il medesimo del precedente, sarà possibile controllare gli eventuali debiti e nel caso inoltrare una richiesta di rateizzazione o chiedere la sospensione dei debiti o magari, pagare le cartelle esattoriali a proprio carico.

Non esiste un tempo per fare una ricerca sugli estratti di ruolo, più tardi si scoprono situazioni pendenti e più si sarà costretti a pagare a causa delle sanzioni applicate. Ovviamente, se si hala consapevolezza di una situazione debitoria grave che può comportare anche un futuro pignoramento, conviene informarsi quanto prima.

Il controllo della propria situazione debitoria, oltre allo sportello fisico o digitale, si può effettuare tramite il contact center dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione che resta attivo 24h per qualunque tipo di richiesta.

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Se la richiesta è urgente si può inviare una PEC agli indirizzi istituzionali indicati sul portale dell’Agenzia delle Entrate Riscossione con lo scopo di ottenere una risposta quanto più celere possibile. Quando si invia una PEC, si è obbligati a indicare i propri dati anagrafici, il tipo di richiesta, motivare l’urgenza e allegare un proprio documento di riconoscimento. In genere, per la richiesta viene utilizzato il modello RD1.

Lo strumento più agevole messo a disposizione dell’Agenzia delle Entrate Riscossione per conoscere i propri debiti è accedere direttamente all’area personale sul portale dell’ente mediante le credenziali d’accesso personalizzate: SPID, Cie, Cns.

Se per qualsiasi motivo non si ha la possibilità di controllare autonomamente la propria situazione debitoria, si può delegare anche il proprio commercialista o comunque un professionista che renderanno più chiara la situazione anche nel caso dovessero insorgere dei dubbi su cosa pagare e cosa eventualmente no. Infatti, può capitare che alcuni debiti iscritti a ruolo siano in realtà prescritti e per i quali va chiesto l’annullamento davanti al giudice competente. Quindi, il contribuente può impugnare una cartella di pagamento di cui è venuto a conoscenza solo tramite gli estratti di ruolo in quanto non ne sia mai arrivata notifica, quanto meno regolarmente.

Come chiarito dalla Corte di Cassazione, tutte le pretese della Pubblica Amministrazione si prescrivono nel termine di cinque anni.

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Divorzio: ritornare a convivere non sempre interrompe la separazione

Cosa succede se due coniugi separati decidono di convivere nuovamente per ragioni pratiche? Si può ritenere interrotta la separazione e quindi vengono meno i presupposti per il divorzio? A queste domande risponde una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n° 14037 22 ottobre 2020 – 21 maggio 2021 della I sezione civile.

La separazione personale dei coniugi

Coma sappiamo, la legge detta una disciplina generale e astratta quindi che si applica a una situazione ipotetica ( che potrebbe verificarsi o meno) e alla generalità delle persone, le sentenze invece si applicano nel caso concreto, ed esclusivamente ad esso, ma quando le pronunce sono della Corte di Cassazione sono ritenute particolarmente importanti e sono considerate una sorta di linea guida per i casi simili.

Nella generalità dei casi se due coniugi in regime di separazione, anche giudiziale, ricominciano a convivere si intende interrotta la separazione e questa è alla base per il successivo divorzio. Solo con il divorzio vengono meno gli effetti civili dell’unione matrimoniale.

Alla base di questa disciplina c’è l’articolo 157 del codice civile che stabilisce: ”

I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.  (c2)   La separazione può essere pronunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione.”

Il caso: ritornare a convivere non sempre interrompe i termini della separazione

Nel nostro caso i due coniugi, per ragione di convenienza/opportunità, avevano ripreso la convivenza, ma si trattava esclusivamente di un interesse di tipo materiale, infatti lei era gravemente diabetica e lui aveva manifestato patologie al cuore. Per maggiore comodità di entrambi il marito era tornato nella ex casa familiare in quanto più vicina al luogo di lavoro. Nel frattempo però:

  • aveva continuato a versare alla ex moglie l’assegno mensile stabilito di 500 euro;
  • dormiva sul divano;
  • infine, aveva continuato la frequentazione con la nuova compagna.

La ex moglie invece riteneva che, sebbene non vi fossero rapporti fisici, la loro coppia fosse ricostituita e a base di tale assunto poneva le testimonianze degli amici che avevano partecipato a cene e vacanze della coppia e il fatto che l’assenza di rapporti era dovuta prevalentemente alle condizioni di salute di entrambi. Di conseguenza chiedeva l’improcedibilità della domanda di divorzio (le testimonianze comunque non sono state ammesse).

L’assenza di affectio maritalis ( e di rapporti fisici) rende procedibile la domanda di divorzio

Questi elementi secondo la Corte di Cassazione sono indice di una mancata ricostituzione dell’affectio maritalis, elemento essenziale per interrompere gli effetti della separazione. La Corte rileva che in questo caso non c’è stata la “necessaria la ripresa dei rapporti materiali e spirituali, caratteristici della vita coniugale” e che tale orientamento è consolidato come si può rinvenire nelle sentenze Cass. 19497/2005; Cass. 19535/2014; Cass. 20323/2019.

In questo caso la convivenza può essere parificata a quella di due amici che si supportano a vicenda in un momento di difficoltà e che non fa quindi sorgere o rivivere diritti.

La sentenza è importante anche perché l’interruzione della separazione, se effettiva, costringe i coniugi che manifestino nuovamente l’intenzione di separarsi a ricominciare nuovamente dall’inizio, come se non fossero mai stati separati e questo potrebbe incidere anche sull’addebito della separazione stessa. Infatti, quando si riprende la procedura è necessario determinare nuovamente quale dei due coniugi ha generato la crisi matrimoniale e potrebbe esservi un ribaltamento totale della situazione (articolo 157 codice civile comma 2). Ciò può avere effetti pratici molto rilevanti perché il coniuge a cui sia addebitata la separazione non ha diritto all’assegno di mantenimento, ma esclusivamente, e in limitati casi, all’assegno alimentare che ha importi molto ridotti.

Reddito di cittadinanza ed il bonus per autoimprenditorialità

Scatta il semaforo verde per il beneficio addizionale a favore dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza che avviano un’attività autonoma o un’impresa individuale o ancora una società cooperativa entro i primi 12 mesi di fruizione del predetto sussidio.

L’incentivo aggiuntivo ai beneficiari del RdC

Il beneficio aggiuntivo consiste in un ulteriori sei mensilità del Reddito di Cittadinanza da erogarsi, come specificato nel messaggio n. 3212 del 24 settembre 2021 dell’INPS, una tantum per un importo non superiore a 780 euro mensili. Il valore del bonus è calcolato a seconda del mese in cui viene avviata l’attività lavorativa autonoma. Ad esempio, se per il percettore del Reddito di Cittadinanza quel mese vale 600 euro, il beneficio addizionale totale sarà di 3600 euro (600 x 6 mesi).

Gli interessati da tale beneficio addizionale possono inoltrare online la richiesta mediante compilazione del nuovo schema telematico “RdC-Com Esteso” disponibile sul sito INPS al cui accesso si provvede tramite PIN Inps ancora attivo oppure tramite SPID, Carta Nazionale dei Servizi oppure Carta di Identità Elettronica. In alternativa, ci si può rivolgere agli istituti di patronato o ai CAF (Centri di Assistenza Fiscale) tramite i loro sistemi di accesso online.

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A chi spetta il bonus addizionale

Il bonus aggiuntivo volto ai percettori del Reddito di Cittadinanza spetta ai soggetti che si trovano contemporaneamente in determinate condizioni:

  • alla data di presentazione della richiesta del beneficio addizionale, il richiedente è componente di un nucleo familiare il cui RdC è in corso di erogazione;
  • l’attività autonoma lavorativa o di impresa individuale è stata avviata nei primi 12 mesi di fruizione del RdC tra quelle agevolate (nel caso di socio di cooperative, il rapporto mutualistico deve avere a oggetto la prestazione di attività lavorativa);
  • non ha cessato nei 12 mesi precedenti la domanda, un’attività auto imprenditoriale tra quelle agevolate, quindi, che non hanno sottoscritto nel periodo appena indicato, una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorativa da parte del socio, ad eccezione della quota per la quale si chiede il beneficio addizionale.
  • non è componente di nucleo familiare beneficiario di Reddito di Cittadinanza che ha già usufruito di tale bonus.

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Ricordiamo che sul nostro portale potrete trovare altre curiosità che riguardano il sussidio, ad esempio se chi ha partita IVA può richiedere il Reddito di Cittadinanza, oppure se per i datori di lavoro che assumono i percettori di RdC sono previste agevolazioni.

Infine, ma non ultimo in ordine di importanza, la risposta ad una delle tante domande che possono porsi i percettori del Reddito di Cittadinanza, ossia: cosa accade se trovo lavoro mentre percepiscono il RdC?

 

Bonus idrico rubinetti e docce, ipotesi click day: indennità fino a 1000 euro a chi prima presenta domanda

Per il bonus idrico, conosciuto anche come indennità rubinetti e docce, arriva l’ipotesi del click day. In realtà, il rimborso funziona con l’ordine di arrivo delle domande. Dunque si prevede che i fondi messi a disposizione dal ministero della Transizione ecologica vadano in esaurimento in poco tempo. Intanto è arrivato il decreto attuativo della misura, con un certo ritardo rispetto alle attese di marzo 2021. L’obiettivo è quello di ridurre gli sprechi di acqua e di perseguire economie di risparmio.

Cosa c’è da sapere sul bonus idrico?

Il decreto attuativo è stato firmato il 27 settembre dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. Nel decreto sono riportati i beneficiari e i criteri per la presentazione della domanda e dell’erogazione del bonus. Nel decreto non è riportata la data a partire dalla quale è possibile presentare l’istanza. Si attende l’operatività della piattaforma che il ministero della Transizione metterà a disposizione.

Click day del bonus docce e rubinetti

Nel momento in cui diventerà operativa la piattaforma, prima si presenterà la domanda e maggiori saranno le possibilità di vedersi accreditato il bonus. Si tratta di una sorta di click day, proprio per i tempi ristretti della domanda e per le risorse che andranno a esaurimento (in tutto, 20 milioni di euro per il 2021).

Chi può presentare domanda per i 1000 euro di doccia e rubinetti?

Possono presentare domanda per il bonus idrico rubinetti e doccia le persone fisiche maggiorenni con residenza in Italia. I richiedenti devono essere titolari di diritto di proprietà su edifici esistenti o di altro diritto reale, o di altri diritti personali di godimento esistenti già alla data di inoltro dell’istanza. Il bonus è corrisposto per:

  • la sostituzione di vasi sanitari in ceramica con nuovi apparecchi a scarico ridotto;
  • per apparecchi di rubinetteria sanitaria in sostituzione di quelli esistenti, incluse le colonne e i soffioni di doccia. La sostituzione deve garantire la limitazione del flusso dell’acqua.

Domanda bonus idrico in caso di affitto dell’immobile

Se l’immobile è cointestato, oppure si è titolari di un diritto reale o personale di godimento, la richiesta del bonus deve essere preceduta dalla dichiarazione di avvenuta comunicazione al proprietario dell’immobile o al comproprietario. Questi ultimi soggetti devono manifestare volontà di fruire del bonus. La dichiarazione, dunque, deve essere allegata alla richiesta del bonus stesso.

Quali sono le spese ammissibili del bonus rubinetti?

Ecco nel dettaglio tutte le spese sostenute ammissibili per la richiesta del bonus nel limite dei 1000 euro:

  • le spese per la fornitura e la posa in opera di vasi sanitari in ceramica con volume massimo di scarico uguale o inferiore a sei litri e relativi sistemi di scarico;
  • si può chiedere rimborso anche per le opere idrauliche e murarie collegate e lo smontaggio e la dismissione dei sistemi che erano installati;
  • le spese per la fornitura e l’installazione dei rubinetti e dei miscelatori per il bagno e la cucina;
  • i dispositivi per il controllo del flusso dell’acqua con portata uguale o inferiore a sei libri al minuti;
  • i soffioni e le colonne doccia con valori di portata uguale o inferiore a nove litri al minuti;
  • sono comprese le eventuali opere idrauliche e murarie e lo  smontaggio e la dismissione dei sistemi sostituiti.

Bonus idrico, cumulabilità con altre agevolazioni fiscali

Il bonus idrico non può essere cumulato con altre indennità e agevolazioni che abbiano ad oggetto il rimborso delle spese sostenute per gli stessi beni. Inoltre, la domanda di bonus si può presentare per un unico immobile, una sola volta e da un solo cointestatario o titolare di diritto reale.

Come presentare domanda del bonus idrico e da quando?

La presentazione della domanda del bonus idrico potrà avvenire nel momento in cui sarà disponibile la “Piattaforma bonus idrico“. Per l’accesso alla piattaforma è necessario navigare sul sito del ministero della Transizione ecologica e autenticarsi. Nella domanda il richiedente deve fornire dichiarazioni sostitutive di autocertificazione. In particolare:

  • cognome, nome e codice fiscale del beneficiario del bonus;
  • l’importo delle spese sostenute per le quali si chiede il rimborso;
  • la quantità dei bene e le specifiche della posa in opera o dell’installazione;
  • le specifiche tecniche per ogni bene sostituito, in particolare la portata massima dell’acqua del prodotto acquistato.

Autodichiarazioni beneficiario bonus idrico al momento della domanda

Ulteriori autodichiarazioni da presentare al momento dell’inoltro della domanda riguardano:

  • l’identificativo catastale dell’immobile;
  • la dichiarazione di non aver ottenuto altre agevolazioni relativi agli stessi beni oggetto di domanda;
  • l’iban del conto corrente bancario o postale sul quale accreditare il rimborso;
  • l’attestazione del richiedente se non comproprietario o proprietario dell’immobile di comunicazione avvenuta al cointestatario o al proprietario.

Quali documenti devono essere allegati alla domanda del bonus idrico?

Sono richiesti anche documenti da allegare alla domanda del bonus idrico. In particolare:

  • copia della fattura elettronica o del documento commerciale nel quale deve essere riportato il codice fiscale del beneficiario del bonus;
  • fattura o documento commerciale per chi non è soggetto alla fattura elettronica;
  • copia del versamento postale o bancario o mediante altri meccanismi di pagamento tracciabili (carte di credito, carte di debito, carte prepagate, assegni bancari, circolari).

Infortuni sul lavoro: circolare INPS 24 del 2021 su ritardata denuncia INAIL

Le notizie degli ultimi giorni sugli infortuni sul luogo di lavoro sono drammatiche e purtroppo molti di questi eventi hanno portato alla morte, tra i lavori maggiormente coinvolti vi sono quelli nell’agricoltura, edilizia e industria. La maggior parte degli infortuni è purtroppo determinata dalla mancata applicazione della normativa sulla sicurezza sul luogo di lavoro. Al verificarsi di infortuni sul luogo di lavoro è previsto l’obbligo di denuncia a carico del datore di lavoro e la normativa stabilisce conseguenze rilevanti in caso di omessa o ritardata denuncia INAIL.

Infortuni sul lavoro: obbligo di denuncia INAIL

In seguito al verificarsi di infortuni sul lavoro è prevista una prassi specifica per la loro denuncia all’INAIL, questa deve avvenire anche nel caso in cui per la tipologia e l’entità dell’infortunio non sia previsto un ristoro economico. L’obbligo di denuncia all’INAIL ricade sul datore di lavoro e sono previste sanzioni in caso di ritardata denuncia INAIL, o omissione.

La normativa stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di denunciare all’INAIL gli infortuni sul lavoro prevedendo due termini specifici:

  • per gli infortuni con prognosi di guaribilità superiore a tre giorni, in base all’articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, la denuncia del datore di lavoro deve essere fatta entro 2 giorni decorrenti dal giorno successivo rispetto a quello in cui ha ricevuto notizia del sinistro;
  • per gli infortuni di grave entità, tra cui quelli che hanno determinato la morte del lavoratore la denuncia deve essere presentata entro 24 ore dall’evento.

La procedura per la denuncia infortuni INAIL

La procedura prevede che il lavoratore, in seguito ad infortunio, si rechi presso una struttura ospedaliera o studio medico e qui sia rilasciato il certificato medico, dovendo dichiarare come è avvenuto il sinistro, partirà la segnalazione all’INAIL. A questo punto il certificato deve essere consegnato dal lavoratore al datore di lavoro e da questo momento iniziano a decorrere per  lui i termini per denunciare il sinistro. Naturalmente non possono applicarsi sanzioni al datore di lavoro se lo stesso non riceve tale certificato.

Dal certificato medico devono emergere tutte le circostanze in cui il sinistro si è verificato e quindi anche eventuali carenze inerenti le condizioni di igiene e sicurezza sul luogo di lavoro.

Le modalità per l’invio della denuncia variano in base alla tipologia di imprenditore/datore di lavoro, infatti la procedura ordinaria prevede l’invio telematico, attraverso il sito dell’INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) in cui è presente un’apposita sezione. Nel caso in cui il datore di lavoro non sia un imprenditore e si tratti di lavori domestici o contratti di collaborazione, la denuncia può essere inviata anche tramite PEC (Posta Elettronica Certificata), se il soggetto non è titolare di un indirizzo di posta elettronica certificata può essere utilizzata la raccomandata A/R. La raccomandata o PEC deve essere inviata alla sede INAIL territorialmente competente.

Ricordiamo che, in caso di infortunio sul lavoro, la legge tutela anche il lavoratore in nero.

Circolare INAIL 24 del 9 settembre 2021

La circolare INAIL 24 del mese di settembre 2021 ha chiarito ulteriori punti. I termini visti per la denuncia da parte del datore di lavoro iniziano a decorrere dal momento in cui riceve dal lavoratore il certificato con il numero identificativo dell’infortunio trasmesso all’INAIL dal medico o dalla struttura sanitaria ( ad esempio il pronto soccorso). Se il termine coincide con un giorno festivo, lo stesso slitta al primo giorno non festivo. Il sabato è considerato giorno feriale anche nel caso in cui nell’azienda non sia considerato giorno lavorativo.

Può capitare che un infortunio sia inizialmente giudicato guaribile nell’arco di 3 giorni e che quindi non si verifichi la condizione essenziale per la denuncia INAIL, se in seguito a nuova visita dovesse emergere che in realtà non sono bastati i tre giorni alla guarigione e che quindi è necessario prolungare il periodo di assenza dal lavoro per infortunio, deve essere presentata una nuova certificazione medica che attesti tale condizione. In tal caso i termini prima visti iniziano a decorrere da questo momento.

Nella circolare viene sottolineato anche che l’INAIL è tenuta a iniziare l’istruttoria in seguito alla segnalazione della struttura sanitaria/medico, su segnalazione del lavoratore o dei patronati che assistono i lavoratori, di conseguenza, se alla primaria denuncia di tali soggetti non succede quella del datore di lavoro, l’INAIL è tenuta a richiedere la lavoratore la denuncia stessa in modo da poter proseguire l’istruttoria. Naturalmente visto il ritardata denuncia INAIL o omessa, si applica la sanzione che vedremo a breve.

Ritardo nella denuncia INAIL: conseguenze

Si è visto quindi che sono previsti termini stringenti per la denuncia dell’infortunio da parte del datore di lavoro,  se gli stessi sono violati sono applicate delle sanzioni amministrative. Il reato è stato depenalizzato dal primo gennaio 1994, con la legge 561 del 1993, in precedenza era prevista l’ammenda (sanzione per reato penale). L’ammontare varia da un minimo di 1.290,00 a un massimo di 7.745,00 euro. Nel caso in cui il datore di lavoro non ottemperi a tali obblighi, è prevista la notifica presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro che provvederà alla riscossione delle somme, prima attraverso l’emissione di un’ordinanza e in seguito con esecuzione forzata.

Infortuni sul lavoro: obbligo segnalazione al SINP a fini statistici e di ricerca

Oltre alla denuncia INAIL, in base all’18, comma 1, lettera r), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 a fini statistici è prevista anche la segnalazione allo stesso ente e tramite questi al SINP (Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro) di tutti gli infortuni, compresi quelli con prognosi inferiore a 3 giorni. Anche in questo caso si tratta di un obbligo e in caso di mancato adempimento si applica al sanzione amministrativa di sanzione amministrativa da :

  • 1.228,50 a 5.528,28 euro per gli infortuni con prognosi superiore a 3 giorni
  • da 614,25 a 2.211,31 euro per gli infortuni con prognosi inferiore.

Nel caso di infortuni inizialmente giudicati guaribili nell’arco di 3 giorni e successivamente rivelatisi più gravi, sul sito è presente la voce “converti in denuncia”, in questo modo le segnalazioni a fini statistici sono convertite direttamente, dal datore di lavoro, in denuncia con recupero automatico di tutti i dati. Tale funzione è operativa dal 28 settembre 2018.

 

Corridoi turistici Covid-Free: vacanze all’estero sempre più possibili

I corridoi turistici Covid-free potrebbero essere un valido aiuto per l’aumento dell’attivita turistica all’estero. Ecco come dovrebbero funzionare.

Corridoi turistici Covid-free: la circolare di Speranza

I corridoi turistici Covid- free sono stati avviati in via sperimentale. Con un’ordinanza il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha istituito queste vie sicure. Così ci si potrà recare in vacanze in località turistiche che si trovano al di fuori dell’Unione Europea. Ad esempio come i paradisi terrestri delle isole Mauritius, Seychelles o Maldive, Sharm El Sheikh e Marsa Alam in Egitto. Ma solo nel massimo di rispettando determinati protocolli di sicurezza. Ma per l’utilizzo di questi corridoi turistici Covid-free occorre essere muniti di Green pass. E non solo, perché sarà obbligatorio sottoporsi ad un tampone antigenico molecolare, nelle 48 ore precedenti ai viaggi. Esisto che ovviamente deve dare la certezza della negatività. Inoltre se all’estero si resterà per una settimana o quindi giorni, sarà fare un altro tampone a metà soggiorno.

Corridoi turistici Covid-free: cade la quarantena

Mentre per quanto riguarda il rientro, non è prevista alcuna quarantena e nemmeno l’isolamento fiduciario. Obbligo che decade se nelle 48 ore prima dell’imbarco ci si è sottoposti un altro tampone molecolare con esito negativo. Infine all’arrivo in aeroporto occorrerà ripetere il test anti Covid-19. Le regole valgono per tutti i soggiorni ed i Tour operators saranno obbligati a controllare il rispetto delle norme durante il viaggio. Anche per quanto riguarda il rispetto delle distanze durante le file sia per l’imbarco per lo scalo. Infatti, le regole valgono sia per i voli diretti che per quelli che preveno degli scali intermedi.

Le regole da tenere durante il volo

Una volta imbarcarti e saliti sull’aereo occorre rispettare altre norme per evitare qualsiasi tipo di contagio. Infatti le mascherine chirurgiche da utilizzare sono le FFP2 o FFp3. Dovranno essere tenute, per tutta a durata del viaggio. Ma se il viaggio fosse lungo, vi è la possibilità di cambiare il dispositivo di protezione ogni 4 ore. Mentre non sono previsti tali obblighi per i bambini che hanno meno di 6 anni o le persone che per patologia, ne sono esentate. Il progetto è in via sperimentale e quindi i dati saranno in continuo monitoraggio. A provvedere al controllo sarà un tavolo tecnico istituito presso il Ministero della Salute. Ma parteciperanno anche i ministeri del turismo e degli affari esteri rappresentanti della cooperazione internazionale, operatori turistici ed aeroportuali.

Controllo dipendenti con le telecamere: quando è possibile?

Oggi andremo a scandagliare una questione piuttosto delicata nel mondo del lavoro. Una possibile violazione della privacy che si muove sul filo sottile della tutela aziendale. Quindi, scopriremo quando e se è possibile che il datore di lavoro effettui un controllo sui dipendenti con le telecamere.

E’ possibile controllare i dipendenti con le telecamere?

Una domanda sempre più lecita nel mondo del lavoro, legata alla tutela del luogo stesso, ma anche alla privacy del lavoratore. Dunque, la domanda nucleica della questione trova presto risposta.

Da una sentenza della Cassazione, si apprende che il datore di lavoro può istallare le telecamere, anche occulte, per sorvegliare i propri dipendenti solo nel caso in cui vi sia fondato sospetto di illecito, ossia che un lavoratore possa commettere azioni fraudolente a danno del datore di lavoro.

Va aggiunto che secondo lo statuto dei lavoratori si può usufruire di videosorveglianza sul luogo di lavoro, solo per esigenze organizzative e produttive, sicurezza sul lavoro e tutela del patrimonio aziendale.

Ulteriori cose da sapere sui controlli con telecamere

Poco sopra, nel paragrafo precedente, si è detto dunque che l’installazione della videosorveglianza sul posto di lavoro è ammessa solo se impiegata per:

  • esigenze organizzative e produttive:  ad esempio se si pensa alla necessità di riprendere un macchinario per verificare che questo funzioni correttamente e finisca un ciclo di produzione per iniziarne un altro; oppure a una telecamera posta sull’uscio del negozio per vedere se entrano clienti e riceverli;
  • tutela della sicurezza del lavoro: come può essere una telecamera in un ufficio postale o in una banca per dissuadere i ladri dalla tentazione di fare una rapina;
  • tutela del patrimonio aziendale: basti pensare ad una telecamera posta nei vari reparti del supermercato per evitare che qualche cliente, oppure qualche dipendente stesso, prelevi della merce senza pagarla.

Per far si che queste misure accadano, però occorre una preventiva informazione ai lavoratori con un cartello che sia ben esposto sui luoghi di lavoro. Infatti, va sottolineato che anche se autorizzata dai sindacati, è illegittima la videosorveglianza installata all’insaputa dei dipendenti.

Il non rispetto dei punti sopra indicati va a comportare, in prima battuta, una responsabilità penale del datore di lavoro con sanzioni che sono molto salate.

Quando le telecamere violano la privacy del dipendente?

Dunque, quando è possibile ritenere che la videosorveglianza sui dipendenti possa violare la privacy del lavoratore? Questo è quanto sinteticamente esplichiamo in questo paragrafo.

Qualora non vi siano le condizioni e gli accordi preventivi con i sindacati per effettuare un controllo di videosorveglianza, il datore di lavoro andrebbe incontro ad una violazione e quindi un reato. Va ulteriormente aggiunto che la violazione può verificarsi anche nei seguenti casi:

  • le telecamere sul lavoro sono solo installate ma non ancora funzionanti;
  • è stato dato preavviso ai lavoratori ma non è stato ancora acquisito il consenso dei sindacati;
  • il controllo è discontinuo perché esercitato in locali dove i lavoratori possono trovarsi solo saltuariamente.

La violazione della privacy e quindi un papabile reato si va a configurare anche nel caso di telecamere finte montate a scopo esclusivamente dissuasivo.

Dunque, alla fine della fiera, si può ben dire che questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla questione annosa della privacy e del controllo sul luogo di lavoro, a discapito di datori di lavoro e dipendenti.

Come funziona il crowdfunding?

Per capire come funziona il crowdfunding, cerchiamo di capire brevemente di cosa si tratta.

Cosa è il crowdfunding

Il crowdfunding è una modalità di raccogliere denaro a favore di imprese e progetti, diametralmente opposta a quella del finanziamento tradizionale.

Infatti, se nel finanziamento tradizionale, ci sono grandi importi che provengono da uno o più fonti, il crowdfunding fa leva su piccole somme di denaro ma versate da tante persone. Tale raccolta avviene attraverso delle piattaforme online.

Non a caso, il crowdfunding è utilizzato in gran parte dalle start-up e da piccole ma anche medie imprese in espansione per avere accesso a finanziamenti alternativi. Indubbiamente, è un modo innovativo di reperire risorse per le imprese, i progetti e per finanziare nuove idee.

Tra l’altro, questa forma di raccolta denaro dà modo di creare intorno al fondo una comunità online utile per acquisire conoscenze sul mercato e raggiungere nuovi clienti.

Come funziona il crowdfunding

Abbiamo parlato di piattaforme online, proprio perchè il crowdfunding è rappresentato da siti web che permettono l’interazione tra i fundraiser (raccoglitori di denaro) e un vasto pubblico (crowd significa folla), attraverso le quali si possono esprimere e raccogliere impegni finanziari.

Solitamente, i fundraiser chiedono il pagamento di una commissione dalle piattaforme di crowdfunding se la campagna di raccolta fondi ha avuto successo. In cambio, tali piattaforme dovrebbero fornire un servizio sicuro e di facile utilizzo.

Molte piattaforme funzionano secondo un modello massimalista, ossia: se si raggiunge l’obiettivo si riceve denaro, altrimenti ciascuno riceve indietro il suo, senza problemi e senza perdite finanziarie.

Esistono più tipi di crowdfunding, di cui tre di essi sono comunemente più usati dalle start-up e dalle piccole e medie imprese in fase di espansione, quindi a fini di lucro.

Crowdfunding: le tipologie

I principali tipi di crowdfunding sono i seguenti:

  • Prestiti peer-to-peer: le persone prestano dei soldi a un’impresa che vuole espandersi per ottenere maggiori ricavi, in base al presupposto che quanto investito possa fruttare degli interessi. In questo caso, la folla è come una banca che presta delle somme di denaro per avere in cambio degli interessi, con la sostanziale differenza anche al posto di un istituto di credito ci sono tanti piccoli investitori.
  • Equity Crowdfunding: in tal caso, si tratta quasi di una scommessa, di un vero e proprio investimento dove è possibile perdere come guadagnare soldi. Quindi, una partecipazione ad un’impresa come accade in borsa, dove si acquistano o vendono azioni ordinarie mettendo a rischio il proprio capitale investito.
  • Rewards Crowdfunding: con questa modalità i privati effettuano una donazione per un progetto o un’attività imprenditoriale con l’auspicio di ricevere in cambio una ricompensa di carattere non finanziario, ad esempio beni o servizi in una fase successiva.
  • Crowdfunding per beneficenza: in questo modo i privati donano piccoli importi per contribuire a ben più grandi obiettivi di finanziamento per un progetto caritativo, quindi, senza l’aspettativa di ricevere in cambi qualcosa di materiale, che sia del denaro, dei beni o dei servizi.
  • Condivisione dei proventi: le imprese possono condividere i guadagni presente e futuri con il pubblico in cambio di un ritorno sul finanziamento effettuato in precedenza.
  • Crowdfunding con titoli di debito: i privati investono in un titolo di debito emesso dall’impresa, come ad esempio un’obbligazione.
  • Modelli ibridi: basta analizzare l’etimologia del termine ibrido, per capire che questi offrono alle imprese l’opportunità di combinare elementi di più tipi di crowdfunding.

La tipologia più diffusa di crowdfunding è il peer-to-peer, dove i prestatori del denaro sperano di incassare degli interessi su quanto hanno investito.

Molto utilizzata anche l’equity crowdfunding che dà l’impressione e il brividio di scommettere o meglio di giocare/investire in borsa anche a rischio di perdere una parte o tutto l’investimento.

Sta prendendo piede anche il rewards crowdfunding che intriga molto i privati che in cambio del loro contributo sperano di ricevere un bene o un servizio e non una somma di denaro.

Registro delle imprese: perchè le imprese fanno l’iscrizione?

Il Registro delle imprese è un pubblico registro informatico nel quale le imprese si registrano rendendo noto a terzi l’esistenza della stessa.

Registro delle imprese: a cosa serve?

Tute le imprese che esercitano in Italia devono iscriversi a questo registro (art 2188 e seguenti del C.C.). Istituito ne 1996 contiene tutti i dati relativi ad ogni singola impresa presente sul territorio italiano. Infatti basta accedervi per cercare la informazioni pubbliche di un’attività. Tuttavia è gestito dalle Camere di commercio per mezzo della rete informatica e telecamere di Infocamere. Inoltre il registro serve a raccogliere e “conservare” i soggetti obbligati all’iscrizione. Per questo motivo è possibile il rilascio di certificati e di visure sui soggetti per conoscere i dati come la sede legale o la ragione sociale di un’attività economica. In altre parole si può definire una fotografia di un’impresa. Comunque è importante precisare che il registro delle imprese è integrato dal Rea, registro economico amministrativo, che contiene anche dati di tipo statico, amministrativo e non solo economico.

Ecco come si divide il Registro

Il registro delle imprese si divide in due sezioni: ordinaria e speciale. Così nella sezione ordinaria si iscrivono tutti i soggetti tenuti a farlo a norma del Codice Civile, tra cui sas, spa, srl, snc, sapa, consorzi e coopertive. Ma oltre a questi soggetti, devono anche registrarsi i gruppi europei di interesse economico, gli enti pubblici che hanno oggetto esclusivo o principale un’attività economica ed infine gli imprenditori commerciali individuali. Mentre nella sezione speciale ci sono le imprese agricole, i piccoli imprenditori, le società semplici, i coltivatori diretti, i professionisti, le Pmi innovative e le imprese sociali.

Come si effettua l’iscrizione al registro delle imprese?

Per effettuare l’iscrizione al registro delle imprese occorre fare alcuni step. Prima di presentare la domanda, è ben procurarsi tutti i documenti necessari come ad esempio quelli di identità del proprietario. Tuttavia la domanda viene spesso presentata dal proprio commercialista di fiducia. Ma prima di effettuare la registrazione, l’ufficio effettua con controllo su quello presentato. Ma per effettuare la registrazione di una nuova impresa occorre presentare la certificazione unica d’impresa alla Camera di Commercio di competenza per la provincia in cui ha sede l’impresa. Inoltre la comunicazione unica deve essere inoltrata utilizzando la firma digitale che provvederà ad inoltrarla a sua volta agli altri Enti, come l’Agenzia delle entrate, Inail e Inps. Pertanto con una sola richiesta si:

  1. registra l’impresa;
  2. apre una posizione inps;
  3. Comunica l’eventuale SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) per lo Sportello Unico delle Attività Produttive;
  4. richiede la partita Iva;
  5. effettua l’iscrizione presso l’Inps.

Chi sono esonerati dall’iscrizione presso il registro?

Non essendo imprenditore, i Liberi Professionisti con cassa NON devono iscriversi alla Camera di commercio. Anche tutti i Liberi professionisti “senza cassa”, iscritti quindi alla Gestione Separata INPS sono esentati da questo obbligo di iscriversi in Camera di Commercio. Pertanto i liberi professionisti devono soltanto aprire la partita iva, iscriversi al proprio albo ed alla cassa professionale o alla gestione separata, se non c’è un albo a cui iscriversi.

Le informazioni consultabili presso il registro delle imprese

Dal registro delle imprese si possono estrapolare molte informazioni relative alle singole imprese. Ad esempio conoscere la natura giuridica, il capitale sociale, gli organi sociali, il codice fiscale, il nome di addetti ed impiegati. Anche se è possibile richiedere vari documenti come:

  • visure;
  • copie di atti o bilanci:
  • schede sui soci;
  • elenchi di imprese;
  • schede sintetiche sulle persone

Accanto al registro delle imprese viene tenuto il repertorio economico amministrativo. Si ratta di una raccolta di notizie di tipo economico ed amministrativo. Il più comune è la classificazione delle attività secondo i codici ATECO e Istat.

Il registro come pubblicità legale

Il registro delle imprese pone in atto una forma di pubblicità legale. Questo permette di rendere noto ai terzi la costituzione della società. Le informazioni da esso prodotte sono certificate e aventi valore legale probatorio sia nei rapporti di diritto pubblico, che in sede di rapporti di diritto pubblico. In altre parole gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati.