Evasione fiscale e terrorismo, caccia a chi non paga le tasse sui social

Dichiarazioni shock del vice-ministro all’Economia Maurizio Leo, l’evasione fiscale deve essere paragonata al terrorismo, annunciato il pugno duro del Governo con la caccia agli evasori anche sui social. Smentita della Lega.

Evasione fiscale come terrorismo, controlliamo i social

Le dichiarazioni del vice ministro Maurizio Leo sono arrivate nel corso di un’audizione convocata dalla commissione parlamentare di Vigilanza sull’anagrafe tributaria, si è sottolineato che l’evasione fiscale in Italia è un vero e proprio macigno e che devono essere incrementate le procedure e gli sforzi volti a determinare il reale reddito di professionisti e autonomi. Il vice-ministro ha ipotizzato, tra l’altro anche una caccia attraverso i social, cioè la ricostruzione dei redditi attraverso un’analisi dello stile di vita di professionisti e autonomi. Il tutto naturalmente senza invadere la privacy.

L’obiettivo è coordinare le forze tra Governo, Agenzia delle Entrate e Sogei. Il ministro ha fatto anche degli esempi su quali comportamenti possono essere a rischio. In particolare ha sottolineato che in molti sui social “pubblicizzano” l’aver frequentato ristoranti di lusso o l’essere stati alle Maldive e poi magari dichiarano pochissime entrate. Maurizio Leo ha sottolineato che all’ipotesi del controllo social si sta già lavorando con il Garante della privacy. Sembra quindi che si sia vicini a una soluzione finale e che comunque il controllo dei social sia molto più di un’ipotesi.

Nessuna caccia alle streghe sui social

Non è però dello stesso avviso la Lega, infatti Armando Siri (Lega), consigliere per le politiche economiche del vice premier Matteo Salvini si dice stupito delle dichiarazioni di Leo, parla di uno slogan che scalda i cuori ideologici di chi confonde la lotta all’evasione fiscale con un’indiscriminata caccia alle streghe. La politica economica del Paese mira invece a una tassazione piatta al 15% al fine di ridurre il carico fiscale e semplificare gli adempimenti.

Sempre secondo Siri il livello di evasione fiscale in Italia è molto sopravvalutato, infatti non supera i 15 miliardi l’anno.

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Tik Tok sarà vietato? Perché molti governi stanno vietando l’uso del social?

La notizia è di quelle che possono far lanciare l’allarme censura, ad annunciare che il Governo sta lavorando al divieto di utilizzare tik tok, il noto social network è il ministro per la Pubblica Amministrazione Zangrillo. Tik Tok sarà vietato in Italia? Ecco il punto della situazione.

Tik Tok vietato negli Stati Uniti e dalla Commissione Europea

Tik Tok è uno dei social attualmente più apprezzato dagli utenti, ma è anche uno dei più temuti al punto che il governo federale americano ha chiesto ai suoi dipendenti di disinstallare l’app cinese sia dai dispositivi utilizzati per il lavoro, sia da quelli utilizzati a fini personali. Dopo pochi giorni a questa decisione è seguita quella della Commissione Europea che ha fatto ai suoi dipendenti la stessa richiesta.

Il motivo è inerente la sicurezza nazionale, infatti sembra che ai dipendenti del colosso cinese, che ha sedi in tutto il mondo e una sede anche in Irlanda, a cui si aggiungono le sedi in Brasile, Canada, Cina, Israele, Giappone, Malesia, Filippine, Singapore, Corea del Sud e Stati Uniti, sia concesso l’accesso ai dati dei cittadini europei e naturalmente l’accesso ai dati comunque gestiti da dipendenti pubblici può mettere a rischio la sicurezza. Dal lato suo il colosso cinese che detiene Tik Tok assicura che i dati dei cittadini europei sono trattati nel rispetto del Gdpr (General Data Protection Regulation), ma le autorità europee non sono dello stesso avviso.

In Italia Tik Tok sarà vietato?

L’Italia sta quindi pensando di adeguarsi alle scelte della Commissione Europea e il ministro della Pubblica Amministrazione, Paolo Zangrillo, ha dichiarato che a breve ci sarà una decisione in merito al divieto di utilizzare Tik Tok per i dipendenti pubblici. Ad essere coinvolti potrebbero essere 3,2 milioni di persone, infatti il divieto dovrebbe essere esteso anche a insegnanti, personale Ata e chiunque rivesta cariche pubbliche.

Il Ministro ha dichiarato che già a gennaio è stata avviata un’indagine in merito alla pericolosità dell’uso del noto social Tik Tok. Non sappiamo come potrebbero prenderla i dipendenti pubblici, infatti il divieto di uso del social potrebbe essere esteso anche a tutti i dispositivi utilizzati a fini privati. Molti potrebbero quindi vedere tale decisione come una minaccia per la libertà di pensiero ed espressione. D’altronde gli attacchi hacker che hanno coinvolto siti istituzionali e di banche nei giorni scorsi, hanno messo in allarme molte persone e sembra inevitabile iniziare a pensare alla cybersicurezza e alla protezione dei dati.

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L’Italia recepisce la Direttiva Copyright a tutela di artisti, autori, editori

Dal 12 dicembre 2021 è in vigore il decreto legislativo 177 del 2021 che introduce importanti novità sul diritto d’autore e funge da recepimento della Direttiva Copyright dell’Unione Europea 2019/790 del 2019. Ecco cosa cambia per gli autori, gli artisti e gli editori.

Perché nasce la Direttiva Copyright

La Direttiva Copyright risponde a una peculiare esigenza di tutela degli autori e degli editori di prodotti intellettuali di varia natura che attraverso il digitale solitamente vengono sfruttati senza che ci sia un’equa remunerazione del titolare dei diritti stessi.

Ormai le pubblicazioni avvengono prevalentemente online, articoli di cronaca o di approfondimento, articoli scientifici testi di poesie e canzoni, brani, insomma tutta la produzione intellettuale si diffonde in rete, questa però permette uno scarso controllo dei fruitori e di conseguenza spesso gli autori, e gli editori che hanno acquistato i diritti, perdono la remunerazione o gran parte della stessa. Ad esempio in passato per leggere gli articoli del giornalista “Sergio Rossi” era necessario comprare il giornale, oggi invece si possono ottenere gratuitamente. Diventa però necessario assicurare un equo compenso ai titolari dei diritti d’autore, inoltre è necessario proteggere la titolarità dei diritti.

I rapporti più tesi in questi anni sono stati tra gli editori/autori e le piattaforme di condivisione, ad esempio Google e Facebook, solo per citare i due colossi che più di altri contribuiscono alle circolazione delle opere senza retribuire chi delle stesse è legittimo proprietario. Non manca chi lancia un allarme opposto e cioè sostiene che la Direttiva Copyright potrebbe addirittura distruggere internet.

Quali sono i punti chiave del decreto che recepisce la Direttiva Copyright?

Sappiamo che le direttive dell’Unione Europea dettano disciplina quadro che solitamente non entra nei dettagli, ma lascia ampio spazi agli Stati Membri che hanno però un obbligo di adeguarsi. Anche in questo caso quindi è stato molto importante il lavoro degli “attori” italiani per cercare di contemperare gli interessi di tutti i soggetti coinvolti.

I punti chiave della disciplina sono:

  • diritto all’equo compenso per lo sfruttamento online dei contenuti;
  • diritto a una remunerazione adeguata e proporzionata per alcune categorie di professionisti;
  • i contenuti possono essere caricati sulle piattaforme online solo previa autorizzazione del titolare dei diritti (solitamente è l’editore);
  • obbligo di produrre un rendiconto sullo sfruttamento dei diritti inerenti le opere pubblicate;
  • diritto alla risoluzione del contratto in caso di mancato sfruttamento dell’opera.

Come calcolare l’equo compenso nel giornalismo

Nel decreto viene riconosciuto un importante ruolo all’AGCOM che deve dettare i criteri per stabilire l’equo compenso.

Per quanto riguarda l’equo compenso questo è riconosciuto anche in favore degli editori, in particolare qualora tali opere siano riprodotte da altre piattaforme ( le maggiori sono Google e Facebook) deve essere riconosciuto un equo compenso all’editore. I criteri per determinare tale compenso è rimandato all’AGCOM, che però deve determinare gli stessi tenendo in considerazione:

  • il numero di visualizzazioni online degli articoli;
  • gli anni di esperienza degli editori;
  • i costi sostenuti per gli investimenti
  • i benefici economici che derivano alle parti;
  • il numero dei giornalisti impiegati;
  • la rilevanza dei contenuti sul mercato.

Su tale equo compenso previsto in favore degli editori deve quindi essere calcolato anche un ulteriore compenso per l’autore a cui spetta una percentuale compresa tra il 2% e il 5%.

Direttiva Copyright per il cinema

Le novità interessano non solo il giornalismo, ma anche il settore del cinema, infatti direttori artistici e traduttori acquisiscono di diritto la qualifica di “coautori” quindi hanno il riconoscimento del diritto d’autore. I doppiatori invece sono considerati alla stregua di “artisti”, di conseguenza autori, direttori artistici, adattatori dei dialoghi, doppiatori e altre figure professionali devono ottenere anche loro un equo compenso in proporzione agli incassi derivanti dalle proiezioni.

Per gli autori delle opere è previsto un compenso anche per le varie riproduzioni e diffusioni effettuate dalle emittenti.

Il rendiconto

Il soggetto (piattaforma o social network) che intende diffondere prodotti coperti dal diritto d’autore, prima di procedere deve chiedere l’autorizzazione al titolare. Sono però previste delle eccezioni nel caso in cui tale soggetti dimostri di aver fatto tutto il possibile per ottenerla senza esservi riuscito, provveda alla rimozione in caso di eventuale richiesta e dimostri di aver fatto il possibile per evitare nuovi caricamenti. E’ sempre considerato reponsabile chi pratica pirateria.

L’articolo 107 al comma 2 stabilisce che coloro che trasferiscono i diritti esclusivi per lo sfruttamento delle loro opere hanno diritto ad ottenere almeno ogni 6 mesi, informazioni aggiornate sullo sfruttamento dell’opera e sulla remunerazione dovuta. La remunerazione dovuta per lo sfruttamento dell’opera deve comunque essere proporzionata rispetto ai ricavi. L’AGCOM sarà chiamata a vigilare sull’esatto adempimento di tale obbligo e potrà anche irrogare sanzioni.

I compensi per lo sfruttamento delle opere sono definiti irrinunciabili e di conseguenza neanche per contratto sarà possibile deliberare in modo diverso.

Il provvedimento ha trovato l’apprezzamento dal ministro della Cultura Dario Franceschini che ha sottolineato come esso sia in grado di rafforzare la tutela di autori e artisti attraverso norme chiare e meccanismi trasparenti. Tra l’altro il testo è stato studiato e concordato con esponenti del settore, proprio per questo trova il plauso di Giulio Rapetti Mogol che presiede al SIAE e Ricardo Franco Levi presidente dell’AIE (Associazione Italiana Editori) e di altri esponenti del settore dell’arte e della cultura.

Infine deve essere ricordato che la nuova disciplina non si applica ad alcune categorie di prodotti, si tratta di:

  • enciclopedie online senza scopo di lucro (wikipedia);
  • raccolte scientifiche senza scopo di lucro;
  • piattaforme e software open source (libere).

Come guadagnare con gli abbonamenti su YouTube

Molti sanno che guadagnare con YouTube è possibile, ma spesso è impresa piuttosto ardua riuscire ad ottenere ricavi sostanziosi. C’è un ulteriore sistema, però per i creator, ovvero quello degli abbonamenti. Scopriamo, allora, in questa rapida guida, come si può guadagnare con gli abbonamenti su YouTube.

Guadagnare su YouTube, come fare

Prima di occuparci, nello specifico, della possibilità e modalità di guadagnare con gli abbonamenti su YouTube, vediamo come è possibile ottenere dei guadagni basici dalla piattaforma.

Dunque, per poter ottenere dei ricavi dalla piattaforma di YouTube, è necessario poter attivare la monetizzazione sul proprio canale YouTube.

La monetizzazione non è altro che un obiettivo che si può raggiungere con dei requisiti minimi per l’adesione al programma, YouTube revisiona i canali che hanno attivato la monetizzazione, qualora ritenuti idonei, permette l’inserimento di annunci pubblicitari e di guadagnare qualche soldo extra.

Ecco, dunque che bisogna capire chi può richiedere questa ambita monetizzazione e in che modo la si può ottenere.

Come si richiede la monetizzazione su YouTube

Per accedere alla monetizzazione, occorrono delle soglie minime richieste dalla piattaforma, ovvero degli obiettivi che sono legati ai numeri del proprio canale.

E’ necessario, infatti, che il proprio canale abbia raggiunto un minimo di 1000 iscritti ed un totale di 4.000 ore di visualizzazioni ai propri video nel tempo di 12 mesi. Alla scadenza dei 12 mesi dal primo video caricato, inizierà un countdown che sottrae le ore di visualizzazione giorno dopo giorno, per cui sarà necessari creare sempre nuovi contenuti per stare al passo del conteggio e raggiungere la soglia richiesta.

Una volta garantito ciò, si dovrà constatare nel proprio pannello del canale (con su scritto monetizzazione), che non ci siano avvertimenti in atto (quindi segnalazioni) relativi alle norme della Community.

Una volta che si sono appurati questi passaggi, si potrà procedere con la richiesta di monetizzazione. E, quindi YouTube valuterà nel tempo di un mesetto (o poco più) se il canale è idoneo alle inserzioni pubblicitarie sui propri video.

Quindi, non è da escludere che per la piattaforma il vostro canale, anche con i numeri raggiunti, possa non essere agibile.

Come guadagnare con gli abbonamenti su YouTube

Veniamo, dunque al nodo della questione, ovvero, quello legato alla possibilità di ottenere degli abbonati al proprio canale.

Persone, dunque, che devono sottoscrivere un abbonamento, pagando, per usufruire di servizi extra dal vostro canale.

Innanzitutto, anche qui c’è la soglia di iscritti da dover necessariamente raggiungere, prima di rendere il canale attivo per gli abbonamenti.

Per gli utenti che invece vogliono iscriversi, al vostro abbonamento, la procedura è la seguente:

  1. Accedere alla piattaforma di YouTube, da app o remoto.
  2. Accedere al canale o al video del creator che si vuole sostenere e verificare se ha attivato gli abbonamenti sul suo canale.
  3. Fare clic sul pulsane Abbonati accanto al tasto Iscriviti, sotto al video.
  4. Seguire le indicazioni per inserire i propri dati di pagamento.
  5. Fare clic su Acquista, una volta scelta l’opzione di abbonamento.

Solitamente un canale YouTube offre più opzioni di abbonamento, partendo da un pacchetto basico, mediamente attorno ai 2 euro mensili, fino ad un pacchetto di 10 euro che dovrebbe offrire servizi esclusivi, come video personalizzati o possibilità di partecipare come ospite alle live, o di vincere premi messi in palio sul canale od altro ancora.

Come funzionano i guadagni con gli abbonamenti su YouTube

Per il creator che gestisce il canale, indubbiamente la possibilità di guadagno, con un pubblico ben fidelizzato, sarà ottimale attraverso gli abbonati. Probabilmente molto più che con la normale monetizzazione della piattaforma. Di fatto, con decine di abbonati si potrà ottenere un discreto incremento mensile alla propria entrata dal canale.

Come detto, occorre innanzitutto creare dei livelli/listini per offerta. Partendo da un pacchetto basico (sticker personalizzati, ad esempio o saluti personalizzati all’interno di un video), per una quota di 1 o 2 euro e via via salire, con vantaggi esclusivi riservati agli abbonati con fasce di prezzo superiore.

Una volta ottenuti i primi followers abbonati, va detto che YouTube tratterrà una percentuale da queste entrate (circa il 60%).

Questo è quanto vi fosse, dunque, di più utile e necessario da sapere in merito alle possibilità e modalità di guadagno con gli abbonamenti sul canale YouTube.

GDPR Kids, autoregolazione delle aziende e cyberbullismo: i minori in rete

Negli ultimi anni abbiamo tutti imparato a conoscere il GDPR (General Data Protection Regulation), questo ha portato a un inasprimento ulteriore delle norme previste per la protezione dei dati personali e di fatto ci siamo ritrovati a dover dare il consenso esplicito al trattamento dei dati, spesso anche se ci sembrava assurdo dover autorizzare azioni quotidiane che venivano compiute. Ciò che molti non sanno è che all’interno del regolamento c’è l’articolo 8 che si occupa della protezione dei dati del minore, questa parte del codice viene anche denominata GDPR Kids.

GDPR Kids e trattamento dati personali del minore

Tale articolo stabilisce che in caso di offerta di servizi a minore, il consenso al trattamento dei dati può essere dato solo dal minorenne che abbia però compiuto i 16 anni di età. Ritenendosi che tale età sia quella in cui il minore comunque maturi una certa capacità di discernimento e quindi possa disporre almeno dei suoi dati personali.

Il regolamento stesso prevede che i vari Paesi Membri nell’adeguarsi alla disciplina del GDPR Kids, possano derogarvi, pone però un limite, lo stesso è fissato a 13 anni, cioè si può derogare al limite dei 16 anni e stabilirne uno più basso, ma comunque questo non può essere inferiore a 13 anni.

Adeguamento dell’Italia al GDPR Kids

L’Italia ha preferito derogare all’articolo 8 del GDPR Kids. Tale passaggio è avvenuto con il decreto legislativo 101 del 2018 il cui obiettivo è armonizzare la normativa italiana rispetto al GDPR. In Italia il limite per fornire autonomamente il consenso al trattamento dei dati personali è 14 anni. Per i ragazzi di età inferiore a 14 anni il consenso deve essere dato da chi esercita la responsabilità genitoriale ed è compito del titolare del trattamento, cioè dell’azienda che fornisce il servizio, verificare che effettivamente il consenso sia prestato da tali soggetti.

La scelta del legislatore è frutto di un tentativo di bilanciamento tra la tutela del minore e la sua libertà di espressione, pensiero e desiderio di partecipare alla vita sociale. L’articolo del decreto specifica che l’obiettivo è fare in modo che il minore possa esprimere il consenso per poter avere accesso all’ “offerta diretta di servizi della società dell’informazione”.

Perché questo appunto? Il caso concreto è molto semplice, tutti conosciamo i social media, la normativa degli stessi, in particolare quelli “gestiti” da Mark Zuckerberg, prevede che il minore possa iscriversi al compimento dei 13 anni di età. Questo dato va però concordato con le disposizioni legislative dei vari Paesi che usufruiscono dei servizi.

In base al nostro decreto legislativo di adeguamento al GDPR Kids, un minore può iscriversi già a 14 anni senza il consenso dei genitori, quindi può accedere ai servizi della rete autonomamente e anche disporre della propria immagine, contattare persone, insomma fare ciò che può fare un qualunque adulto. I social network come Facebook, Instagram, Tik Tok e altri, sono solo un esempio dei servizi a cui i minori possono accedere in modo autonomo dai 14 anni e senza alcun filtro, quindi senza avere limiti alle pubblicità a cui possono accedere e alle inserzioni/annunci.

Rischio dipendenza e cyberbullismo

Per quanto riguarda l’accesso ai social network, il nostro legislatore ha considerato come elemento da tenere in considerazione per fissare il limite d’età in cui il minore può autonomamente dare il consenso, il rischio di dipendenza e la possibilità che i minori possano essere vittime di cyberbullismo. Si tratta sicuramente di problemi non marginali per l’infanzia.

A ciò deve aggiungersi che all’interno del decreto legislativo non si prevede nessun altra distinzione tra il trattamento dei dati personali degli adulti e dei minori, infatti non si esclude in alcun modo che i dati forniti dai minori attraverso i social ricevano tutela attraverso l’esclusione dalla profilazione automatizzata, di fatto quindi costantemente e quotidianamente sono raccolti migliaia di dati dei minori con tutte le conseguenze che ne derivano.

Working Party articolo 29

Per, in un certo senso, contenere gli effetti dell’applicazione del GDPR Kids, che può anche essere derogato dagli stati Membri, si è tenuto il Working Party dell’articolo 29, si tratta di un gruppo di lavoro a cui partecipano le Autorità Garanti dei Paesi Membri. Da questo “summit” sono emerse delle indicazioni che però non hanno una particolare forza vincolante e allo stesso tempo hanno fatto emergere delle falle nel sistema di protezione dei minori.

Nel fascicolo prodotto emerge che i minori devono essere considerati soggetti vulnerabili e di conseguenza le organizzazioni/aziende dovrebbero astenersi dal profilarli per scopi di marketing. I minori infatti possono essere più facilmente influenzabili dalla pubblicità comportamentale, ad esempio nei giochi online, come sottolineato dal Working Party, potrebbero essere raccolti dati di profilazione volti a determinare quanto un minore possa essere propenso a spendere soldi nel gioco e questo rappresenta un danno economico e allo stesso tempo potrebbe indurre una ludopatia.

A tali precisazioni del Working Party non corrisponde però una regolamentazione severa volta a tutelare, ma delle raccomandazioni e un invito all’autoregolazione che in pratica nessuno accoglie.

GDPR Kids e legge per il contrasto al cyberbullismo

In Italia la possibilità di accedere ai servizi della rete a 14 anni fornendo il proprio consenso informato è accompagnata dall’articolo 2 delle legge sul cyberbullismo, legge 71 del 2017, questa prevede che già a 14 anni il minore possa autonomamente chiedere ai gestori dei servizi di rimuovere, oscurare o bloccare i propri dati personali. Di conseguenza può esercitare da solo le azioni in tutela dei diritti violati. Invero appare a chi scrive una misura poco attuabile per diversi motivi, cioè il minore vittima della rete difficilmente da solo è in grado di azionare tali diritti (spesso neanche li conosce) e difficilmente si rivolge agli adulti. Allo stesso tempo sappiamo tutti che rimuovere dei contenuti dalla rete una volta immessi è praticamente impossibile.

Sicuramente preparare/educare alla rete potrebbe essere una soluzione, ma sperare in genitori che autonomamente svolgano tale ruolo è molto utopistico e anche in questo caso ci sono diversi motivi, il primo è che spesso i genitori non hanno gli strumenti per educare alle rete, frequentemente si parla di analfabetismo funzionale digitale, in altri casi c’è scarsa attenzione, ecco perché abbassare l’età per prestare il consenso al trattamento dei dati rispetto al GDPR Kids doveva essere accompagnato da un percorso istituzionalmente garantito per educare alla rete.

Nuovi lavori: come diventare moderatore o operatore di chat

La disoccupazione è sicuramente un male molto diffuso in Italia, ma per chi ha una certa flessibilità e si adatta a nuovi lavori, ci possono essere delle occasioni davvero interessanti, tra queste vi è il moderatore/operatore di chat: un lavoro per il quale è possibile anche lavorare da casa, o meglio in smartworking, con tutti i vantaggi che questo comporta.

Chi è il moderatore/operatore di chat

Tutti abbiamo notato che in rete sono spesso presenti delle chat che assumono toni decisamente poco pacati, si tratta di chat di gruppo, ma anche conversazioni scambiate sui social network, ad esempio nelle pagine pubbliche di politici, personaggi dello spettacolo, persone abbastanza in vista, ma anche pagine di grandi aziende impegnate in diversi settori. Spesso le conversazioni arrivano a sfiorare il reato, per evitare questo molte aziende e molti personaggi noti, ma anche siti internet e giornali vari, assumono dei moderatori di chat. Il ruolo essenziale dei moderatori di chat, o semplicemente Mod, è quello di tenere la discussione in un perimetro di civiltà.

Una figura affine è quella dell’operatore di chat che ha caratteristiche professionali simili anche se il suo ruolo è diverso e per alcuni aspetti più semplice. Si occupa di fornire assistenza online, ad esempio rispondere ai clienti che chiedono informazioni sui prodotti dell’azienda. Hai presente la chat che si apre al lato di alcuni siti in cui ti viene chiesto se hai bisogno di aiuto? Dietro c’è un operatore di chat che si occupa delle pubbliche relazioni dell’azienda. Naturalmente per poter svolgere questo lavoro è necessario conoscere bene i servizi e i prodotti offerti dal’azienda.

Cosa è necessario moderare?

I siti e le chat si dividono  in due categorie, cioè le chat in cui i commenti vengono pubblicati solo dopo il vaglio del revisore (il ruolo del Moderatore in questo caso è più semplice), quindi con un filtro preventivo, e quelle in cui il controllo è solo successivo, in questo caso avere molta calma e sangue freddo è davvero essenziale.

In linea di massima è necessario fare in modo che i toni della conversazione online restino moderati e che quindi non ci siano profili di reato, tra cui diffamazione, violenze, minacce, messaggi blasfemi, commenti razzisti. Ogni azienda però determina un proprio codice e il moderatore di chat deve studiare bene tale regolamento in modo da eliminare ciò che l’azienda o il personaggio, che funge comune da datore di lavoro e quindi in seguito sarà individuato come “azienda” ritiene non debba essere presente.

Naturalmente un unico soggetto non può essere presente h24 a moderare conversazioni in cui non c’è un filtro preventivo, questo vuol dire che il lavoro si organizza su turni, molto dipende anche dalla disponibilità economica dell’azienda e nelle ore di disponibilità è necessario essere presenti, vigili, concentrati e pronti ad affrontare ogni sfida.

Il ruolo del moderatore per un’azienda è essenziale perché questo ha il compito di proteggere la nomea dell’azienda, del marchio eliminando tutto ciò che può danneggiarla. Proprio per questo non bisogna sottovalutare l’importanza del proprio lavoro.

Percorso di studi per diventare moderatore di chat o operatore di chat

Non c’è un corso di studi per diventare moderatore, questo anche perché in Italia si è piuttosto restii ad accogliere le novità, molti non conoscono neanche tale posizione, inoltre spesso le aziende tendono ad affidare questo ruolo al Social Media Manager, sebbene non si tratti di una scelta tecnicamente valida in quanto le due figure professionali sono diverse.

Per svolgere il ruolo di moderatore è necessario avere una buona conoscenza degli strumenti informatici, naturalmente si deve avere la capacità di usare un computer visto che si lavorerà con questo strumento. E’ essenziale una buona conoscenza della lingua italiana e delle tecniche di comunicazione online, insomma un moderatore che inciampa nell’italiano non è il massimo per un’azienda.

Il moderatore non si vede, il pubblico percepisce solo l’azienda quindi se un moderatore di chat svolge male il suo lavoro, non scrive in un italiano corretto e di facile comprensione ad un pubblico ampio ed eterogeneo, tali errori saranno imputati direttamente all’azienda.

Inserirsi in questo mondo non è semplice, ma sul web si trovano molti annunci, è bene porre attenzione perché in alcuni casi l’annuncio parla di moderatore di chat e nella pratica si richiede di intrattenere “conversazioni tra adulti” che per alcuni sono anche piacevoli, oltre che remunerative, ma è bene sempre essere consapevoli fin dall’inizio. Difficilmente vengono forniti locali, si lavora da casa o da qualunque altro luogo si desideri in piena autonomia. Naturalmente per poter lavorare da casa occorre avere un computer personale e una buona connessione internet.

Quanto guadagna un moderatore/operatore di chat?

La retribuzione varia, questa figura professionale infatti non è tutelata in modo omogeneo, cioè non c’è un contratto collettivo nazionale di riferimento quindi è un po’ una jungla, ma variano da 500 euro circa mensili a 1000 euro per impegni orari che possono essere più o meno ampi. La retribuzione oraria oscilla comunque intorno ai 5 euro, non è molto ma può essere un modo per iniziare una professione e poi magari migliorare nel tempo la propria condizione lavorativa.

Per l’operatore di chat spesso la retribuzione non è oraria, ma in base al numero di risposte che fornisce ai clienti (potenziali o reali), in questo caso la retribuzione oscilla tra i 9 cents e i 14 a messaggio, ma se il volume di visite del sito è elevato è comunque possibile avere molti contatti e quindi dei guadagni interessanti.

Come viene configurato il contratto?

Ci sono diverse possibilità, ma spesso le aziende cercano freelance, questa scelta offre l’opportunità di lavorare con più aziende e quindi di gestire i propri guadagni. Raramente le aziende decidono di assumere con contratto di lavoro subordinato un moderatore/operatore di chat, questa scelta è spesso preferita dalle grandi aziende che hanno bisogno di avere un costante servizio di assistenza di qualità per la gestione dei rapporti con la clientela.

Pensi di avere le caratteristiche giuste per diventare un moderatore/operatore di chat? Il consiglio è di cercare in rete degli annunci, si trovano facilmente, candidarti e sperare che qualcuno ti selezioni.

La guida completa su come guadagnare con i social network

Nei tempi in cui passare molto tempo sui social network è diventato emblematico per moltissime persone, di qualunque età, scopriamo quanti casi possono diventare fonte di guadagno. Ecco, dunque, la guida completa su come guadagnare con i social network.

Come guadagnare con i social Network

Al tempo di oggi, la smania di essere influencer o content creator è qualcosa che va al di là del semplice esibizionismo, ma in molti casi può diventare una vera e propria fonte di guadagno, indipendentemente che condividiate contenuti di qualità o meno.

Tra YouTube, Instagram, Twitch, Facebook e TikTok, la possibilità di fruttare qualche spicciolo è sempre dietro l’angolo, in alcuni casi si possono ottenere veri e propri redditi. Ma come fare per riuscirci?

Ovviamente, ogni social ha il suo sistema di monetizzazione e ogni social ha i suoi contenuti adatti.

Se prendiamo il caso di Facebook, il modo per ottenere dei guadagni è quello necessariamente di rimandare i propri post ad indirizzi esterni, come altri blog o siti, o facendo un’attività da affiliato marketing. Insomma, vendendo prodotti o spazi esterni al sito. Ma, parliamo comunque del social forse più desueto, in questo periodo, in fatto di affluenza ed utilizzo.

Instagram, invece offre sicuramente più attenzione, soprattutto per quei prodotti che si possono pubblicizzare attraverso brevi reel (i video in voga sul social) o con immagini fotografiche ben assestate e con gli hashtag giusti.

Tik Tok, il re dei guadagni?

Probabilmente il social di maggiore tendenza, al giorno d’oggi, è il cinese TikTok.

E’ innanzitutto, un’app molto semplice quella di TikTok, capace nel giro di pochi anni di conquistare, dalla Cina al resto del mondo, schiere intere di ragazzine e ragazzini ed anche di appassionati intrattenitori e casalinghe annoiate.

Ma come guadagnarci e come mai ha ottenuto così tanto successo?

TikTok LIVE è uno degli strumenti di guadagno e consente agli utenti di interagire in tempo reale con i propri follower: se hai più di 1000 follower e più di 16 anni puoi fare delle live.

Per guadagnare con TikTok chiarisce che bisogna avere almeno 18 anni. Infatti, chi ha 18 anni o più può ricevere ed inviare degli sticker o delle emoji.

Gli utenti possono acquistare monete virtuali (rappresentate con rubini e diamanti) e regali, inviare regali ad altri o ricevere regali con valore monetario. Queste vengono utilizzate dagli utenti come apprezzamento per la live o per un contenuto caricato da un utente.

Twitch e YouTube: i guadagni per gli streamer

Fare gli streamer o i content creator è sempre un fenomeno di interesse e di svago per chi crea e per chi segue.

YouTube, la piattaforma più nota di contenitore di video deve fare il paio con Twitch, la piattaforma di Amazon Prime che va fortissimo per quanto riguarda le live, soprattutto tra i videogiocatori o per chi ospita personaggi del tubo sui propri canali, per portare contenuti e conversazioni in diretta streaming.

Come monetizzare con YouTube e Twitch

Riuscire a guadagnare attraverso l’uso di un canale YouTube non è facile, anche perché basti considerare che la soglia di pagamento dalla piattaforma, derivata dalle entrate pubblicitaria si è notevolmente abbassata, rispetto agli introiti di altri paesi o rispetto ai primi anni della piattaforma.

Ottenere comunque una monetizzazione da YouTube resta un obiettivo plausibile se si riesce a crescere nel seguito della propria attività. Ottenere un minimo di 1000 iscritti al proprio canale e un numero di 4000 ore di visualizzazione in 12 mesi di tempo sono le soglie per accedere alla monetizzazione del vostro canale.

Per guadagnare con Twitch, invece gli streamer hanno a disposizione diversi meccanismi che gli permettono di monetizzare. Cose come abbonamenti, bit (moneta virtuale di twitch), sponsorizzazioni, donazioni, programmi di affiliazione, merchandise ed entrate pubblicitarie.

Al momento sembrerebbe che Twitch sia la piattaforma più redditizia in fatto di guadagni sui social, sebbene tutto poi dipende dall’uso che si riesce ad ottimizzare da ciascun social network.

Serve partita IVA per guadagnare con i social?

Una domanda che non bisogna sottovalutare è se sia necessaria l’apertura di una partita IVA per contabilizzare i propri guadagni sui social network.

Se ottenete guadagni interessanti, non che dobbiate diventare ricchi, sarà inevitabile aprire una partita IVA per regolarizzare i vostri guadagni.

Più in generale, la risposta dovrebbe comunque essere si, ovvero occorre aprire una partita IVA per guadagnare sui social.

Se si decide, infatti, di iniziare a ottenere guadagni dal proprio canale YouTube, aderendo cosi ad AdSense, si dovrà aprire una partita iva, dal momento che si sta svolgendo un’attività di impresa, cioè un attività che genera ricavi, e quindi per poter essere in regola con il fisco deve essere dichiarata.

E in tal senso, anche pochi euro rientrano nel discorso.

Ma quanto costa (e quanto conviene) aprire partita IVA per social network

I passaggi da tenere in considerazione per poter svolgere l’ attività sono i seguenti:
Effettuare, innanzitutto, l’apertura della partita IVA, per l’esercizio di attività di impresa;
  • Iscrizione in Camera di Commercio (costo circa 120,00 euro annue);
  • Iscrizione alla Gestione commercianti dell’Inps (€. 4.000 annue, dovuti indipendentemente dai guadagni percepiti);
  • Verificare eventuali obblighi di presentazione della SCIA al Comune ove è situata la sede dell’attività.

Una volta ottenuta la apertura della partita IVA il passo successivo sarà quello di scegliere il regime fiscale. Il regime fiscale è importante in quanto determina la deduzione dei costi, la tassazione dei ricavi e i connessi adempimenti fiscali. Sotto questo punto di vista, il regime fiscale migliore è il Regime Forfettario.

Come visto poco sopra, non è qualcosa di conveniente, soprattutto nel caso in cui la vostra attività di social creator non sia così redditizia. Quindi, la soluzione potrebbe essere quella di dichiarare i vostri guadagni, sporadici, da social network come prestazioni occasionali.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere nella nostra guida completa su come guadagnare sui social network al giorno d’oggi.

Guadagnare con i social: quale rende di più?

E’ sempre più frequente, ormai, pensare di attingere fonti di guadagno dai social network. Ma quale è il social col quale si può guadagnare di più al giorno d’oggi? Scopriamolo assieme.

Guadagnare con i social network: come fare

Ormai, la smania di essere influencer o content creator è qualcosa che va al di là del semplice esibizionismo, ma in taluni casi può diventare una vera e propria fonte di guadagno, indipendentemente che condividiate contenuti di qualità o meno.

Tra YouTube, Instagram, Twitch, Facebook e TikTok, la possibilità di fruttare qualche spicciolo è sempre dietro l’angolo, in alcuni casi veri e propri redditi. Ma come fare per riuscirci?

Occorre innanzitutto avere una certa costanza e ottenere un buon numero di followers. Ad esempio, per monetizzare con YouTube è necessario avere almeno 1000 iscritti al proprio canale ed un determinato numero di ore di visualizzazione ai propri video, mentre per Facebook l’efficacia che possono avere i vostri post è molto limitata se non ricorrete a sponsorizzare i vostri prodotti. E non è chiaro se ci sia o meno un parametro di monetizzazione per i vostri post. In quel caso, comunque avere un folto numero di contatti o di followers sulla vostra pagina è indispensabile.

Tik Tok, Twitch e Instagram sembrano invece essere i social più redditizi in tal senso.

Guadagnare con Instagram

Guadagnare con Instagram oggi è contemporaneamente più facile e più difficile che mai. Nato come social per la condivisione di foto, è diventato velocemente una vera e propria miniera d’oro per ogni tipo di business, attirando tantissime persone e aziende.

Ecco, in breve alcuni dei modi con cui fare soldi con Instagram:

  • Sfrutta i post sponsorizzati per i brand che vogliono raggiungere il tuo pubblico;
  • Diventa un affiliato: guadagna vendendo prodotti che appartengono ad altri brand;
  • Vendi i tuoi prodotti, che siano fisici, digitali o anche dei servizi;
  • Vendi le tue fotografie: guadagna dai tuoi scatti migliori;
  • Porta traffico su altre piattaforme.

Ovviamente se stai partendo da zero (nel senso che hai pochissimi followers perché stai aprendo ora il tuo account Instagram) ci vorrà tempo, ma se ci si saprà muovere bene sulla piattaforma, si sarà in grado di identificare una nicchia e farsi conoscere al suo interno, arrivando poi a monetizzare.

Guadagnare con Twitch e TikTok

I due social, tuttavia, più redditizi del momento, sembrerebbero essere Twitch e TikTok.

Piattaforme in cui la condivisione video comanda. Nel primo caso, si parla di un punto di forza scaturito dalle live streaming mentre nel secondo da video di breve durata, dal contenuto di intrattenimento, spesso piuttosto discutibile.

Partiamo subito da un presupposto non da poco, ovvero che per guadagnare soldi su Twitch, gli streamer hanno a disposizione diversi meccanismi che gli permettono di guadagnare. Cose come abbonamenti, bit (moneta virtuale di twitch), sponsorizzazioni, donazioni, programmi di affiliazione, merchandise ed entrate pubblicitarie.

Un vasto campionario dunque da poter e saper gestire, per provare a trarre profitto dalle proprie capacità di condivisione e dai propri contenuti.

Quanto si guadagna con gli abbonamenti Twitch?

Gli affiliati che ottengono (e richiedono) la partnership, possono guadagnare una quota pari al 5% dei ricavi degli acquisti che hanno origine dalle pagine dei propri canali. Tramite gli acquisti, gli spettatori non solo contribuiscono a sostenere gli affiliati, ma vengono anche ricompensati con uno Scrigno Twitch per ogni acquisto di almeno 4,99 dollari.

Per attivare un abbonamento, occorre collegarsi alla pagina principale di Twitch, fare clic sulla propria foto, in alto a destra, e selezionare l’opzione Dashboard autore dal menu apertosi. Nella nuova schermata visualizzata, premere, quindi, sulle opzioni Impostazioni e Affiliato e individuare la sezione Abbonamenti.
Alla fine della fiera, è necessario dire che per ottenere un guadagno da queste piattaforme, occorre avere una buona costanza e seguire dei piani di marketing, anche nell’uso degli hashtag e nella scelte di orari per pubblicare ed incrementare la propria community, anche attraverso l’uso di sondaggi, stories e dirette streaming.
Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito ai social network con cui si guadagna di più.

 

Partita IVA per youtuber: serve?

Oggi andremo a scoprire se occorre una partita IVA nel caso in cui con la vostra attività su YouTube, quindi con un ipotetico guadagno da youtuber. Scopriamolo assieme.

Guadagnare con YouTube è possibile?

Non tutti sanno che svolgere un’ attività di creator di contenuti sui social, in questo caso su YouTube, permette di ottenere qualche guadagno.

Tanti altri, invece credono che guadagnare su YouTube sia un introito piuttosto sostanzioso, al punto da rendere il lavoro di creatore di video contenuti, un vero e proprio lavoro. Ma, in realtà i veri e propri guadagni si ottengono solo in casi in cui lo youtuber in questione ottenga una monetizzazione corposa dalle pubblicità sui propri video, grazie a numeri di visualizzazioni altissime.

Non è chiarissimo come funzionino i guadagni (pochi centesimi un tot di visualizzazione) che si possono ottenere da un singolo video caricato sul proprio canale, ma ad ogni modo sono numeri che diventano guadagni notevoli, solo quando si ottengono decine di migliaia di visite ad ogni singolo video.

Ma, molti si chiedono è quindi necessario aprire partita IVA per fare lo youtuber? Scopriamolo nel prossimo passaggio della nostra guida.

Partita IVA per Youtuber, serve?

Potremmo in breve dire che la risposta è sì.

Se si decide, infatti, di iniziare a guadagnare dal proprio canale, aderendo cosi ad AdSense, si dovrà aprire una partita iva, dal momento che si sta svolgendo un’attivitàdi impresa, cioè che genera ricavi, e quindi per poter essere in regola con il fisco deve essere dichiarata.
La normativa del nostro paese prevede che tutto quello che viene guadagnato deve essere dichiarato al fisco e quindi tassato, anche se le entrate sono basse. Per poter dichiarare le entrate che sono derivanti da Youtube, sarebbe quindi necessario aprire una partita Iva anche se i guadagni sono bassi. E questo andrà a comportare dei costi fissi annuali.

Quanto paga di tasse uno youtuber?

E quindi quanto costa aprire una partita IVA per la propria attività di youtuber e quanto può andare a pagare di tasse chi svolge attività su YouTube.

Le effettive tariffe pagate daun inserzionista variano, in genere tra 0,10 euro e 0,30 euro per visualizzazione, ma la media è di 0,18 euro per visualizzazione. In media il canale YouTube può ricevere 18,00 euro per 1.000 visualizzazioni di annunci. Ciò equivale a 3,00 euro / 5,00 euro per 1.000 visualizzazioni video.
Ad ogni modo, gli Youtuber piccoli che ospitano banner pubblicitari sono tenuti a regolamentarsi tramite l’apertura di una partita IVA, per dichiarare i guadagni, spesso davvero esigui, e per questo è bene capire se è conveniente aprire la partita IVA. Indubbiamente, l’apertura della partita Iva ha un costo, legato sia alla consulenza del Commercialista che ti seguirà nei vari adempimenti fiscali periodici, ma soprattutto per quanto riguarda i versamenti previdenziali obbligatori.
I passaggi da considerare per svolgere l’ attività sono i seguenti:
Effettuare, innanzitutto, l’apertura della partita IVA, per l’esercizio di attività di impresa;
  • Iscrizione in Camera di Commercio (costo circa 120,00 euro annue);
  • Iscrizione alla Gestione commercianti dell’Inps (€. 4.000 annue, dovuti indipendentemente dai guadagni percepiti);
  • Verificare eventuali obblighi di presentazione della SCIA al Comune ove è situata la sede dell’attività.

Una volta effettuata la apertura della partita IVA il passo successivo sarà quello di scegliere il regime fiscale. Il regime fiscale è importante in quanto determina la deduzione dei costi, la tassazione dei ricavi e i connessi adempimenti fiscali. Sotto questo punto di vista, il regime fiscale migliore è il Regime Forfettario.

Dunque, all’atto pratico, bisogna dire che aprire una partita IVA è necessario per “essere in regola”, ma non è conveniente per chi monetizza solo poche decine (o poche centinaia) di Euro all’anno, con i suoi video. E quindi, sembrerebbe che la risposta più immediata sia: meglio non ottenere la propria monetizzazione sui propri video e lasciar perdere i piccoli guadagni.

Questo è, quindi quanto di più utile e necessario da sapere in una situazione un po’ imbrigliata che rischia di mettere un po’ in sfiducia chi vuole intraprendere la strada del guadagno attraverso il proprio canale YouTube.

Come si può guadagnare con Facebook?

Guadagnare con i social, ormai è divenuto un vero e proprio “mantra”, un obiettivo comune di molti giovani (e meno giovani) che vogliono battere le strade dei social e della visibilità internauta. Ma molti si chideono se sia possibile guadagnare con Facebook e in che modo. Scopriamolo assieme.

Guadagnare con Facebook si può?

Possiamo dire che esistono sono diverse modalità per guadagnare con Facebook, proprio perché ci sono centinaia di milioni di utenti che lo utilizzano in modo regolare e quotidiano.
Nel caso in cui si gestisce un blog o un sito web, lo si può, per esempio, promuovere tranquillamente attraverso il social. Non solo, anche con il marketing di affiliazione, è possibile promuoverlo su Facebook.

Se, ad esempio, si scrivono i post per il proprio blog o testi informativi per le pagine di destinazione di marketing di affiliazione tanto da conquistarsi un bel bacino di lettori che visitano il proprio sito, allora si è, senza dubbio, sulla buona strada per fare soldi online.

Diciamo, quindi che Facebook è un buon contenitore per riportare gli utenti sui propri spazi web.

Si può guadagnare come creator su Facebook?

Guadagnare usando il social network, magari attraverso la propria pagina è possibile? Questa è la domanda più gettonata, indubbiamente.

La risposta è sostanzialmente sì. Infatti, per poter guadagnare denaro dai propri contenuti di Facebook, editori e creator devono, però, rispettare una serie di regole denominate “Normative sulla monetizzazione per i partner. Queste regole valgono per comportamenti, Pagine e pagamenti.

Vediamo alcune possibilità e modalità di monetizzare e quindi guadagnare con Facebook

1. AGGGIUNGERE INSERZIONI “IN-STREAM”

Le inserzioni in-stream aiutano gli utenti a guadagnare facendo inserire a Facebook degli spot pubblicitari all’interno dei propri video.

In questo modo l’utente guadagna in base al numero di visualizzazioni e in base al nome del brand che ha deciso di inserire l’ads all’interno del tuo contenuto

2. ABBONAMENTO DEI TUOI FAN

Come accade con Youtube & Twitch, anche il social di Facebook permette la stessa logica di fidelizzazione dell’utente ad un canale, consentendo ad esso di diventare “contributore” e quindi aderire ad una donazione mensile per supportare il proprio Creator preferito.

3. FARE I BRAND INFLUENCER

Esattamente come accade con Instagram, anche Facebook promette gustosi ricavi alle pagine che postano contenuti “brandizzati”, ovvero contenuti costruiti in collaborazione con un partner affiliato.

In pratica, un brand mette nel mirino la vostra pagina e vuole sfruttarla per ottenere quanta più visibilità possibile. E quindi vi pagherà per fargli pubblicità, sempre che l’argomento trattato da voi è affine ai suoi prodotti. Oppure, potete creare una pagina apposita per vendere determinati prodotti, dei quali siete rappresentanti. Come accade, spessissimo, di recente per i prodotti nutrizionali o di salute e benessere.

4. GRUPPI A PAGAMENTO

Vi sarete trovati probabilmente a gestire un gruppo Facebook o quanto meno di parteciparvi da membri. Gli amministratori dei gruppi hanno la possibilità di rendere la propria community a pagamento.

Una modalità che richiede, praticamente, l’accesso alla community attraverso una piccola “quota” di iscrizione. Anche se, francamente, sembrerebbe che siano piuttosto pochi i gruppi su Facebook che adottano questa modalità.

Per concludere questa rapida guida nel mondo dei possibili profitti sul social di Facebook, va detto che certamente il portale di Zuckerberg non è il social più acclamato per poter ottenere profitti, ma in tal senso è meglio spostarsi su piattaforme attualmente più trafficate (come Tik Tok e Twitch), dove il formato video rende più di un post scritto o di una foto.

Questo, dunque, è quanto di più necessario ed essenziale da sapere in merito alle possibilità di guadagnare con Facebook, non vi resta, se avete una pagina con un buon seguito, che iniziare a cercare di trarne profitto. Ma, il consiglio è sempre quello di usare i social con passione della condivisione e per il piacere del creare una community, piuttosto che cercarne un forzato guadagno. Che, nel caso, arriverà col tempo e con la fortuna e determinazione.