Tettoie, gazebo e pergolati, ecco le norme e i controlli 

Mettere una tettoia in giardino, piuttosto che sul terrazzo, oppure montare pergolati e gazebo sono azioni assoggettate a determinate normative. Possono sembrare cose di poco conto ma invece non lo sono. Infatti le leggi in materia sono piuttosto stringenti e soprattutto espongono chi non le segue, a irregolarità e sanzioni non certo irrisorie. Infatti anche da questo punto di vista esistono soggetti adibiti a controllare proprio la regolarità di queste strutture rispetto alle normative vigenti tanto nazionali che regionali o comunali.

Cosa sono tettoie, gazebo e pergolati

Non sono pochi gli italiani che hanno già montato o che pensano di montare un gazebo, delle tettoie, una verande o dei pergolati, magari in giardino. Ogni Comune ha le sue regole e i suoi regolamenti. Per questo occorrerebbe controllare il sito istituzionale del proprio Comune per verificare se esiste e come fare ad adeguarsi ad una normativa vigente in materia. Proprio perché comunale, l’organismo deputato al controllo della regolarità di queste installazioni è la Polizia Locale. Sono i vigili urbani infatti l’organismo deputato al controllo di queste iniziative da parte dei cittadini, su ordine degli uffici tecnici dello stesso Comune. La polizia municipale è l’organismo  su cui grava il compito di accertare eventuali violazioni che rientrano nel campo di quelle edilizie anche se si tratta di strutture diverse da quelle in muratura. Le tettoie e apparati simili infatti non sono in muratura, ma rientrano comunque nelle normative edilizie. E questo vale per tutte le strutture, come sono quelle prima citate.

Come fare per montare tettoie o simili

Montare una struttura di questo genere senza seguire le normative rientra nel perimetro delle violazioni edilizie. Infatti nei regolamenti comunali di competenza, sono indicati tutti i cavilli da seguire, dalle autorizzazioni ai permessi, dalle distanze agli appesantimenti delle strutture. Inoltre va sottolineato il fatto che in ogni Comune ci sono zone particolari, centri storici, zone franose e così via. In altri termini ci sono zone dove anche il semplice montaggio di una tettoia non è ammissibile. Bisogna fare i conti con normative piuttosto stringenti in materia, e come detto dipende molto dalle singole amministrazioni locali. Per esempio ci sono tettoie che possono essere montate soltanto se lasciano due dei quattro lati scoperti. Oppure tettoie che non possono essere chiuse come perimetro, nemmeno da strutture scorrevoli.

Cosa fa la Polizia Locale in materia

Ed è la Polizia Locale l’organismo deputato a controllare e che può avviare una denuncia alle autorità competenti in materia contro il cittadino che monta una tettoia o un pergolato senza seguire la normativa vigente. Un reato significa essere esposti a sanzioni. Il primo effetto del montaggio di una struttura non a norma, è quello della sua rimozione. In pratica qualora la polizia municipale riscontrasse anomalie da parte di un contribuente, potrebbe imporre immediatamente lo smontaggio della struttura precedentemente installata. La prima cosa da sottolineare è che per il montaggio di strutture del genere, servono le autorizzazioni. Senza il nulla osta del Comune quindi. Infatti è severamente vietato installare anche una tettoia senza la previa autorizzazione. In questo caso si va nell’abusivismo edilizio. Spesso oggetto di sanatorie, ma che nel presente rappresenta un serio pericolo per chi non si attiene alle regolamentazioni. Per gazebo leggero o pergolato però, non sempre è necessaria l’autorizzazione, anche perché si tratta di strutture semovibili e facilmente disinstallabili o montate soltanto nel periodo estivo.

Cosa produrre per montare una tettoia

In linea di massima occorre tutta una serie di documentazione da presentare al comune insieme a distanza con cui si chiede il permesso a montare una struttura non semovibile come può essere una tettoia abitata a terra. Come si legge sul sito “businessonline.it” servono quasi sempre:
  • L’attestazione sulla legittimazione a costruire;
  • Il progetto di un tecnico;
  • Visto di conformità.

Il lavoratore può rifiutare di lavorare se fa troppo caldo? ecco alcune novità e le regole su lavoro e ammortizzatori

Da settimane ormai in Italia, da nord a sud il clima ha assunto le sembianze di quello tropicale. Caldo torrido e temperature elevatissime sono una costante in tutto il territorio italiano. Soffrono i fragili, gli anziani, i bambini, ma soffrono anche i lavoratori, soprattutto quelli che sono impegnati all’aperto e al sole cocente. Lavoratori edili, lavoratori agricoli, addetti alla manutenzione delle strade, il verde cittadino e così via. Il paesaggio in Italia oggi si divide tra vacanzieri e turisti e tra lavoratori e addetti ancora in servizio. Il caldo però mette a rischio la salute di questi lavoratori, che hanno necessità di strumenti e servizi atti a detonare il pericolo. In questo scenario, ecco alcune novità che possono tornare utili sia alle aziende che ai lavoratori. Novità a tutela di entrambe le parti in causa, soprattutto nelle fasi di cessazione delle attività dovute proprio al gran caldo di queste settimane.

Tra lavoro e salute, ecco cosa nasce per il gran caldo di questi giorni

Il diritto al lavoro e la tutela della salute dei lavoratori sono due tra i principi fondamentali della Legge italiana. Principi fondamentali che anche la Costituzione sancisce. Oltre alle normative generali, non mancano interventi regolamentari eccezionali sulla medesima materia, che guardano la salute del lavoratore durante le ore di lavoro. Soprattutto alla luce delle condizioni climatiche proibitive di questi ultimi tempi, le novità introdotte sono all’ordine del giorno. In alcune Regioni per esempio sono state introdotte normative che prevedono la pausa lavorativa pomeridiana in agricoltura. Una pausa dettata proprio dal gran caldo di questa settimana che di fatto mette a rischio la salute dei lavoratori impegnati al sole e nei campi. Durante le ore della giornata più calde, niente lavoro nei campi quindi. Almeno secondo i dettami normativi in alcune Regioni dove il caldo è maggiore e dove è maggiore la presenza di lavoratori agricoli nei campi.

Per il caldo il lavoratore può rifiutare di lavorare

L’articolo 2087 del codice civile stabilisce che un datore di lavoro deve tutelare la salute del lavoratore adottando tutte le misure necessarie per perseguire l’obbiettivo. Il datore di lavoro è obbligato a valutare tutti i rischi del lavoratore, anche quelli da esposizione a condizioni climatiche proibitive. In questo caso è il decreto legislativo 81 del 2008, altrimenti detto Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro a stabilire tutto questo. La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito con una famosa sentenza del 2015 che per il gran freddo un lavoratore può rifiutare di lavorare, senza perdere il diritto alla retribuzione. Ed inevitabilmente quella sentenza si apre anche al grande caldo e non solo al freddo. Il Ministero della Salute e l’INAIL hanno prodotto anche un opuscolo che mette in evidenza cosa fare quando si lavora con il troppo caldo.

INPS e INAIL insieme per la tutela dei lavoratori dal gran caldo

Provvedimenti di questo genere non sono affatto rari da parte di autorità locali quali sono le Regioni o i Comuni. E adesso si implementano di un’altra novità. Come riportato dal sito “TPI.it”, sembra che l’INAIL, ovvero l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, abbia aperto alla possibilità per le aziende di avviare e richiedere periodi di cassa integrazione e quindi di ammortizzatori sociali anche con la motivazione del gran caldo. Un vantaggio soprattutto per i lavoratori che per attività svolta, sono messi a dura prova dalle alte temperature di questi ultimi tempi.

La nota dell’INAIL chiarisce le novità normative temporanee ed eccezionali

Con una nota l’INAIL ha reso pubblico quanto deciso in solido con l’INPS, proprio in relazione a queste problematiche relative alla gran caldo e al lavoro. Pare infatti che con temperature che superano i 35 gradi centigradi le aziende potranno godere di un periodo di cassa integrazione per i loro addetti. In ogni caso di interruzione o sospensione delle attività dovute proprio al clima, ecco spuntare un ammortizzatore sociale ad hoc. Nella nota l’INAIL spiega la procedura operativa da utilizzare in questi casi. Pertanto, in ogni caso di interruzione lavorativa per quei lavoratori sottoposti ad attività con il clima torrido di questi giorni, le aziende potranno godere di questo ammortizzatore sociale.

Cosa si intende per gran caldo secondo l’INAIL

Ricapitolando, le imprese potranno chiedere la Cassa Integrazione all’INPS in caso di temperature elevate. Il limite dei 35 gradi centigradi è fisso, anche se nella nota si legge che ogni qualvolta la temperatura percepita potrà mettere a repentaglio la salute dei lavoratori, le aziende potranno sfruttare questo ammortizzatore sociale. In altri termini, non è strettamente necessario che la colonnina di mercurio segnali 35 gradi centigradi per poter avviare la tutela sociale della cassa integrazione.

Alcuni esempi di attività che possono dare diritto all’ammortizzatore sociale

Prima abbiamo citato alcune delle attività più a rischio per il gran caldo, dagli edili agli agricoli per esempio. Ma sempre nella nota dell’INAIL si legge che tale facoltà è aperta alle aziende che hanno addetti che svolgono lavori in luoghi che non possono essere protetti da sole o calore. Alcuni altri tipici esempi sono gli addetti al rifacimento dell’asfalto. Ma per esempio, a rischio ci sono anche gli addetti al rifacimento di strade e marciapiedi, quelli che devono essere muniti di indumenti di protezione che amplificano la temperatura esterna  e così via dicendo.

Società Benefit: pubblicato il codice tributo per il credito di imposta

Con la Risoluzione 42 l’Agenzia delle Entrate ha reso noto il codice tributo per avvalersi del credito di imposta riconosciuto per la costituzione di Società Benefit.

Cosa sono le Società Benefit e a quanto ammonta il credito di imposta

Le Società Benefit sono una particolare tipologia di società che ha doppio scopo, cioè lo scopo di lucro e uno scopo altruistico.

Per conoscere le peculiarità delle Società Benefit leggi l’articolo: Società benefit: cosa sono, come funzionano e quali vantaggi portano.

Per sostenere lo sviluppo delle Società Benefit, con il Decreto Rilancio prima e con il decreto Aiuti dopo, è stato previsto un credito di imposta in favore dei soggetti che decidono di costituire una società benefit. Il credito di imposta è riconosciuto anche in caso di trasformarmazione di una società già esistente in società benefit. Il credito di imposta è relativo a:

  • le spese notarili e per l’iscrizione nel Registro delle Imprese;
  • le spese inerenti l’assistenza professionale e le consulenze sostenute e destinate alla costituzione e trasformazione delle Società Benefit.

In misura pari al 50%.

Risoluzione 42/E/2022: ecco il codice tributo per le Società Benefit

Con la Risoluzione 42  del 27 luglio 2022 L?Agenzia delle Entrate ha reso noto il codice tributo da utilizzare esclusivamente con il modello F24 che consente di scontare tali spese. Il codice tributo è “6976” (credito d’imposta per il rafforzamento del sistema delle società benefit – art. 38-ter, comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34).

È importante ricordare che il credito di imposta si riferisce alle operazioni contemplate nel decreto Rilancio e cioè quelle effettuate tra il 19 luglio 2020 e il 31 dicembre 2021 e non quelle successive che sono invece previste nel decreto Aiuti e che comprendono le operazioni di costituzione o trasformazione di società benefit fino al giorno 31 dicembre 2022. Possono utilizzare il codice tributo le società che hanno presentato correttamente e nei termini istanza attraverso la piattaforma telematica messa a disposizione e a cui è stato comunicato l’ammontare del credito di imposta riconosciuto.

Leggi anche Credito di imposta Società Benefit: c’è tempo fino al 15 giugno per la domanda

Scarica qui l’intera Risoluzione 42/E/2022 RIS_n_42_del_27_07_2022

I 5 paesi d’Europa dove vivere meglio dopo la pensione

Il sogno di godersi la pensione, maturata dopo anni di lavoro, in un paese straniero, lontano da caro vita e dal trambusto metropolitano della propria città, accarezza molti anziani. Ma, quali sono i 5 paesi d’Europa dove vivere meglio dopo la pensione? Scopriamolo nella nostra guida.

Pensione e vacanze: una vecchiaia in relax

Molti scelgono mete esotiche tra il sud est asiatico e l’America centro e meridionale, molti altri pensano a mete europee dell’ est, per poter godersi i propri risparmi, in pensione.

Per chi vuol restate nella continentale Europa, vi è qualcuno che ha stilato una classifica dei 5 migliori paesi, per sostenere una vita in relax dopo la pensione.

Nello specifico ci ha pensato il World Economic Forum a stilare l’elenco dei migliori Paesi d’Europa in cui trasferirsi dopo la pensione nel 2022. Questi Stati presentano un costo della vita competitivo e le possibilità di godersi gli anni della pensione sono facilmente raggiungibili.

La modalità di ricerca si è basata in particolare su alloggio, residenza, tasse, sicurezza, assistenza sanitaria, governance, clima e costo della vita. E, curiosamente, al quinto posto della suddetta classifica troviamo proprio l’Italia.

Ecco la classifica: Top 5 per la pensione 2022

1. Portogallo
2. Svizzera
3. Grecia
4. Malta
5. Italia

A vincere la curiosa classifica è il Portogallo. Il paese lusitano ha un costo della vita accessibile a tutti, offre incentivi fiscali per i residenti stranieri, una vasta quantità di spiagge, un clima piacevole e un ottimo livello di sicurezza.

Stando, invece ad un report stilato da Blacktower Financial Magazine, il migliore paese d’Europa sarebbe la Finlandia.

In questo caso, la valutazione ha tenuto conto di fattori in base ai tassi di criminalità, al costo della vita, all’aspettativa di vita, ai prezzi degli immobili e all’età della popolazione.

La Finlandia delle sconfinate lande innevate comanderebbe la classifica.

L’atmosfera paciosa finlandese e la magia dell’aurora boreale vedono molti pensionati andare “off-grid” per godersi il loro meritato riposo di una vita. Con panorami mozzafiato, laghi freschi, vaste foreste e città pittoresche; non sorprende che la Finlandia attiri milioni di pensionati al loro confine ogni anno.

Anche in questa classifica l’Italia si piazza quinta nella lista, grazie a una qualità di vita alta e aspettative di vita tra le più alte d’Europa.

Mentre, curiosamente il Portogallo esce fuori dalla Top 5, piazzandosi settima.

Altri paesi in cui godersi la pensione, in Europa

Nell’ultimo caso, per il report di Blacktower, sembrerebbe che il Regno Unito sia poco adatto a godersi la propria pensione, piazzandosi ultimo nella lista di 24 paesi europei candidati.

Mentre, Spagna, Slovenia, Olanda e Italia completano la cinquina da sogno, con la Finlandia.

Nel primo report, troviamo la Svizzera seconda, da sempre meta neutrale e approdo per molti italiani migranti.

Sul terzo gradino del podio c’è, invece, la Grecia. Un’eccellente cucina, isole da sogno e un clima paradisiaco sono tre ottimi biglietti da visita del Paese ellenico. A questi se ne aggiunge un quarto, ovvero un programma di visto che consente a chi investe (solo se cittadini extra-Ue) almeno 250.000 euro in immobili di ottenere una residenza permanente della durata di cinque anni.

Completano la top 5 del World Economic Forum Malta e, come detto la nostra Italia, rispettivamente in quarta e quinta posizione. Malta è tra le mete predilette dai pensionati alla ricerca di sole tutto l’anno e assistenza sanitaria, tra le migliori in tutta Europa, ma allo stesso tempo è tra le nazioni dove il costo della vita è più alto che altrove.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla possibilità di scovare le migliori mete d’Europa per godersi la propria agognata pensione nel 2022 in corso.

Revisore legale/contabile: chi è e quando deve essere nominato?

L’articolo 2409 del codice civile stabilisce che “La revisione legale dei conti sulla società è esercitata da un revisore legale dei conti o da una società di revisione legale iscritti nell’apposito registro.” Ma chi è il revisore legale?

Chi è il revisore legale/contabile? Come si accede alla professione

Il revisore legale non deve essere confuso con il commercialista, si tratta infatti di due figure professionali diverse. Il revisore legale è un professionista esperto in bilancio, contabilità, scritture contabili, conosce le norme che si applicano alle scritture contabili ed è quindi in grado di determinare se le stesse sono correttamente tenute. Si tratta di un soggetto laureato in materie in area economica, giuridica o aziendale, ha svolto un tirocinio almeno triennale presso un revisore contabile e ha superato l’esame per l’abilitazione alla professione e quindi per l’iscrizione nel registro dei revisori legali/contabili tenuto presso il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze) . Per essere iscritti è necessario avere requisiti di onorabilità.

Il revisore legale può essere una figura esterna alla società, la normativa infatti prevede che nelle società di capitali il controllo contabile sia esercitato da una società esterna iscritta nel Registro.

Nel caso in cui la società non abbia l’obbligo di redigere il bilancio consolidato e non abbia controllate, la revisione contabile può essere affidata al collegio sindacale, ma solo nel caso in cui tutti i membri del collegio siano a loro volta iscritti presso il Registro tenuto dal MEF.

In quali casi deve essere nominato il revisore legale?

La nomina del revisore legale è obbligatoria nelle società tenute alla redazione del bilancio consolidato (obbligatorio per i gruppi di società), per le società che controllano a loro volta una società tenuta alla redazione del bilancio consolidato, inoltre è obbligatoria nel caso in cui sia superati determinati parametri. Gli stessi sono stati aggiornati con il decreto legislativo 14 del 2019 entrato in vigore il 16 marzo 2019.

È prevista la nomina nel caso in cui la società abbia almeno 20 dipendenti, inoltre nel caso in cui l’attivo patrimoniale superi i 4 milioni di euro o i ricavi superino i 4 milioni di euro. Basta superare uno di questi due parametri per due anni di seguito per essere sottoposti ad obbligo di nomina del revisore legale.

L’obbligo cessa quando per 3 esercizi consecutivi nessuno dei parametri ora visto ( numero dei dipendenti, valore del patrimonio, valore dei ricavi ) supera la soglia prevista. In ogni caso le società non obbligate alla nomina del revisore contabile possono volontariamente nominarlo.

Riforma del Terzo Settore e nomina del revisore legale

In seguito alla riforma del Terzo Settore, è stata prevista la nomina del revisore contabile anche per questa tipologia di soggetti, come le Associazioni Sportive Dilettantistiche. In questo caso cambiano però i limiti perché l’obbligo scatta nel caso in cui:

  • il totale dell’attivo dello stato patrimoniale superi di 110.00 euro ;
  • ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate: 220.000,00 euro;
  • i dipendenti superino il numero di 5 unità.

Nel caso precedente la nomina può essere in favore dell’organo di controllo dello stesso ente, ma è necessario che i membri dell’organo di controllo siano iscritti all’albo dei revisori. Scatta però l’obbligo di nominare un revisore legale esterno nel caso in cui siano superati per due esercizi consecutivi uno dei seguenti limiti:

  • totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 1.100.000,00 euro;
  • ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate: 2.200.000,00 euro;
  • dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 12 unità.

Compiti del revisore legale/contabile

Quando è necessario nominare un revisore legale, nei casi in cui le sue funzioni non possono essere svolte dal collegio sindacale, è sempre la società a decidere chi nominare. I compiti del revisore legale/collegio sindacale in funzione di revisore legale sono:

  • verificare periodicamente la regolare tenuta delle scritture contabili e la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione;
  • verificare se il bilancio di esercizio corrisponde alle scritture contabili e se rispetta le norme di legge;
  • redigere una relazione sul bilancio di esercizio.

Il giudizio sul bilancio si esercizio può avere questi risultati:

  • senza rilievi se non vi sono errori;
  • con rilievi se il bilancio di esercizio è attendibile, ma difforme in alcuni aspetti alla normativa oppure vi sono delle anomalie ;
  • negativo quando il bilancio di esercizio non rispetta le norme previste;
  • infine, vi è la possibilità per il revisore legale di effettuare la dichiarazione di impossibilità nel caso in cui per la gravità degli errori nella tenuta sia impossibile effettuare i controlli, in questo caso deve essere immediatamente comunicata tale “anomalia” alla Consob.

Decontribuzione, l’idea del Governo invece del bonus 200 euro

Decontribuzione sarebbe la scelta del Governo per far fronte al caro vita. Addio al bonus 200 euro, ecco come si sta procedendo.

Decontribuzione, una busta paga più pesante

Il caro vita con l’inflazione all’8% è uno dei punti con cui il governo dimissionario deve fare i conti. Il premier dimissionario, Mario Draghi, ha incontrato le maggiori sigle sindacali per cercare di fare il punto della situazione e trovare una soluzione per tutti i lavoratori. Sembra comunque non ci sarà una replica del bonus 200 euro, ma un intervento strutturale della decontribuzione sui lavoratori. In altre parole un netto più corposo ed una busta paga che sente meno il peso delle imposte da versare. Mentre l’intervento sulle pensioni è previsto per gennaio 2023.

Almeno questo è quello che ha annunciato il governo in merito al Decreto aiuti bis e che riferiscono i segretari di Cisl, Luigi Sbarra e Uil, Pierbaolo Bombardieri. In particolare quest’ultimo così commenta quanto avvenuto a seguito dell’incontro a Palazzo Chigi. “Ci hanno detto che interviene sulla decontribuzione dei lavoratori dipendenti quindi si aumenta il netto in busta paga” ha detto Bombardieri. Mentre il Ministro Andrea Orlando dice: “E’ la base di partenza del confronto” con le parti sociali, ha confermato.

Cos’è la decontribuzione?

Ancora non è chiaro il modo in cui il Governo vuole applicare la decontribuzione promessa ai sindacati. Ma in linea generale la decontribuzione prevede che per alcune specifiche parti della retribuzione del lavoratore, non sia richiesto il pagamento dei contributi. Il meccanismo può avvenire rispetto alla quota di contributi a carico del singolo lavoratore o rispetto alla quota a carico del datore di lavoro- azienda.

Tuttavia la finalità dell’intervento è quella di aumentare la produttività e la busta paga del lavoratore. Quest’ultimo riceve maggiore beneficio immediato rispetto all’assegnazione del bonus da 200 euro, che aveva comunque trovata il consenso di molti italiani. Ma in un’ottima di economia più ampia, questo tipo di intervento punta a stimolare la crescita della domanda ed i consumi privati, perché a parità di impegno lavorativo, il lavoratore ha più disponibilità economica.

Tutti in attesa del nuovo decreto aiuti bis

Il nuovo decreto bis è un fase di approvazione. Sembra appunto che si prevede la messa a punto entro la settimana prossima e dovrà contenere tutti gli interventi rivolti agli italiani. Ma soprattutto in vista di un autunno che sembra davvero difficile. Tra questi i problemi sul gas, la guerra in Ucraina che continua e l’inflazione che aumenta invece che diminuire. E anche l’Istat  certifica il crollo della fiducia dei consumatori.

Tuttavia continuano gli incontri del Governo per scrivere un decreto che metta d’accordo tutti, o per lo meno il più possibile. I sindacati dei lavoratori dipendenti sembrano aver dato esito positivo agli incontri fino ad ora svolti. Nel frattempo il presidente Carlo Bonomi ha convocato una riunione straordinaria del Consiglio Generale di Confindustria per un confronto interno su crisi di Governo e congiuntura economica. C’è dunque grande attesa per questo nuovo decreto aiuti bis, che probabilmente sarò l’ultimo firmato da questo Governo, in vista delle elezioni del 25 settembre 2022.

Inps e Inail, si alla Cassa integrazione se il caldo supera i 35 gradi

Inps e Inail rendono note le istruzioni per la gestione del rischio da caldo e l’accesso alla cassa integrazione, tutti i dettagli.

Inps e Inail, il comunicato congiunto

ll caldo afoso delle ultime giornate sta mettendo a seria prova molte categorie di lavoratori. Così Inail ed Inps hanno reso pubblica una nota che regola la gestione del rischio caldo. Un vademecum pronto all’uso, dedicato a lavoratori, datori di lavoro e figure aziendali della salute e sicurezza, realizzato nell’ambito delle attività del progetto Worklimate. Le linee guida sono il frutto della collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche-Istituto per la BioEconomia (Cnr-Ibe). In particolar modo lo studio approfondisce gli effetti delle condizioni di stress termico ambientale sui lavoratori.

Il comunicato così recita: Le imprese potranno chiedere all’Inps il riconoscimento della CIGO quando il termometro supera i 35° centigradi. Ai fini dell’integrazione salariale, però, possono essere considerate idonee anche le temperature “percepite”. In una pubblicazione Inail dedicata a lavoratori, datori di lavoro e figure aziendali della salute e sicurezza, le linee guida per prevenire le patologie da stress termico.

Quali lavoratori possono accedere?

Possono accedere alla cassa integrazione, a causa delle elevate temperature, tutti i lavoratori appartenenti a determinate categorie. Tra questi ci sono tutti i lavoratori dell’edilizia, soprattutto per il rifacimento di facciate, esterni e tetti di copertura. Ma anche chi lavora nella manutenzione di asfalto, strade e tutti coloro che svolgono attività lavorativa con molte ore di esposizione al sole, o in luoghi non proteggibili dal calore solare.

E’ la stessa azienda che deve presentare domanda di accesso alla cassa integrazione per i propri dipendenti. E nella domanda occorre indicare le giornate di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa e specificare anche il tipo di lavorazione in atto nelle giornate medesime. Infine l’azienda non è tenuta a produrre alcuna documentazione o certificati in merito all’entità della temperatura o eventuali bollettini meteo.

Si precisa inoltre che l’Inps riconoscerà la cassa integrazione anche nel caso in cui il responsabile o coordinatore della sicurezza dell’azienda dispone la sospensione delle lavorazioni perché c’è rischio per i suoi dipendenti dovuto alle temperature elevate.

Inps e Inail, cosa si intende per temperature elevate

Per temperature elevate si intendono tutte quelle che superano 35 gradi centigradi. Tuttavia si deve prestare attenzione non solo alle temperature, così come riportate dai bollettini meteo, ma anche a quelle “percepite”. Queste ultime sono quelle che di solito, hanno valori maggiori di quelle reali.

Ecco come commenta la notizia il Ministro del lavoro Andrea Orlando in merito alla decisione dei due enti di previdenza e tutela del lavoro. “I fenomeni climatici estremi aumentano il rischio di infortuni sul lavoro e abbiamo dato una pronta, urgente e necessaria risposta“, scrive il ministro italiano.

Infine tutte le sedi territoriali dell’Inps, nonché la direzione centrale ammortizzatori sociali, sono a disposizione delle aziende per fornire tutte le dovute informazioni su tale tipologia di richiesta, nonché completa assistenza nella presentazione delle domande e in tutte le fasi che ne seguono. Del resto le alte temperature non possono compromettere la salute dei lavoratori, che va tutelata sempre e comunque.

 

 

Pensioni giornalisti 2022: cosa cambia e quali requisiti

In vista di una data molto importante, quella del prossimo 1 luglio 2022, andiamo a vedere cosa cambia nel futuro prossimo per le pensioni dei giornalisti. Quali importi e quali requisiti occorrono, lo scopriamo nella nostra guida in merito.

Pensioni giornalisti: come funziona

Vediamo in generale, come funziona la pensione per giornalisti, prima di avvicinarci al cambiamento del prossimo luglio 2022.

Innanzitutto, occorre sapere che il sistema pensionistico dei giornalisti dipendenti, iscritti all’INPGI, è finanziato attraverso un prelievo contributivo rapportato alla retribuzione erogata. L’attuale aliquota contributiva destinata al fondo pensioni è pari al 33%, ed è così suddivisa: 23,81% a carico azienda e 9,19% a carico del lavoratore.

Ma cosa cambia, dunque dal prossimo mese di luglio del 2022, lo scopriamo nei prossimi paragrafi.

Pensioni giornalisti, cosa cambia dal 1 luglio 2022

Dunque, alcuni articoli precisi dell’ultima legge di Bilancio indicano che anche i giornalisti passano all’Inps, pertanto la gestione INPGI convoglia a nuova forma.

Tale scelta è stata stabilita dal Governo, che per tale via ha inteso individuare una soluzione sostanziale per poter rimediare al disavanzo dell’Istituto Giovanni Amendola, a causa anche della crisi del settore editoriale tradizionale, per la crescita dell’informazione digitale.

Dunque, dal prossimo 1 luglio, i giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti titolari di un rapporto di lavoro subordinato in campo giornalistico saranno iscritti all’Inps. Questo passaggio riguarderà i rapporti attivi e quelli passivi, l’assicurazione IVS ed anche i trattamenti di disoccupazione e integrazione salariale dei giornalisti con contratto di lavoro subordinato.

Quindi, dalla data in questione le regole della gestione sostitutiva saranno di fatto uniformate a quelle applicate presso il fondo pensioni lavoratori dipendenti. Tutto questo, nell’osservanza del principio del pro-rata, cioè con salvaguardia del criterio di calcolo della pensione e seguendo l’interesse dei lavoratori stessi.

Pensione giornalisti: quali sono i requisiti

I requisiti utili per il cambio in atto saranno i seguenti per essere iscritti al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti:

  • I “giornalisti professionisti, i pubblicisti e i praticanti iscritti all’Albo negli appositi elenchi e registri” titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica;
  • Con evidenza separata, i titolari di trattamenti pensionistici diretti ed i superstiti già iscritti alla data del 30 giugno 2022 presso la gestione sostitutiva dell’INPGI.

Saranno invece esclusi dal trasferimento INPS le seguenti categorie

  • Giornalisti professionisti;
  • I pubblicisti;
  • I praticanti giornalisti;

che però esercitano l’attività in maniera autonoma (quindi senza rapporto di subordinazione) o nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, iscritti all’INPGI 2, noto come gestione separata.

Pensione giornalisti: il principio pro-rata

Il cosiddetto principio pro-rata rappresenta uno specifico meccanismo di calcolo pensionistico, il quale mira a proteggere i pensionandi dalle possibili novità e cambiamenti di legge peggiorative del sistema di calcolo del trattamento pensionistico finale.

In pratica, la logica sarebbe quella per cui le novità intervenute potranno essere applicate solo per calcoli futuri e non, quindi, in rapporto a contributi già versati negli anni precedenti. Quindi a tal proposito si ha un chiaro esempio in riferimento alle novità delle pensioni giornalisti, al via dal primo luglio di quest’anno.

Cambiamenti degli importi

Andiamo a vedere cosa cambia in merito agli importi della pensione in vista delle novità in arrivo da luglio, la situazione è la seguente:

  • l’importo del trattamento pensionistico per i soggetti già assicurati presso l’Inpgi sarà calcolato – per quelle quote corrispondenti alle anzianità contributive acquisite fino al 30 giugno 2022 – con le regole applicate nella stessa gestione sostitutiva;
  • per quanto riguarda l’importo della pensione collegata alle anzianità contributive acquisite a partire dal primo luglio 2022 in poi, varranno le disposizioni vigenti nel fondo pensioni lavoratori dipendenti.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alle principali novità sulle pensioni giornalisti 2022, in arrivo dal prossimo luglio 2022.

A che cosa servono gli incubatori d’impresa e come guadagnano

Le imprese in fase di start-up, e quindi all’inizio della propria attività, hanno spesso bisogno di risorse e di servizi al fine di accelerare il proprio sviluppo. In tal caso la figura chiave, per soddisfare questa esigenza, è rappresentata dal cosiddetto incubatore d’impresa.

Vediamo allora di approfondire questo aspetto. Ovverosia a che cosa servono nel dettaglio gli incubatori d’impresa, ed inoltre come questi guadagnano quando intervengono al fine di accelerare lo sviluppo per uscire dalla fase di start-up.

Cosa fa l’incubatore d’impresa per il supporto alle attività in fase di start-up

Per lo sviluppo delle attività imprenditoriali in fase di start-up, l’incubatore d’impresa accudisce così come fa la gallina con i pulcini. E questo con il fine di validare sia i prodotti e/o i servizi proposti dall’impresa in startup, sia per validare, di conseguenza, il suo modello di business.

E questo perché, nella fase iniziale, la start-up è un’impresa fragile, ma con il supporto dell’incubatore può poi a regime entrare sul mercato, e affermarsi, potendo poi andare avanti da sola e quindi in piena autonomia.

Come guadagna l’incubatore quando sostiene le imprese in start-up

L’incubatore all’impresa in start-up, tra l’altro, può fornire i locali dove sviluppare le idee, ma anche e soprattutto consulenza specializzata al fine di perfezionare i prototipi. Il guadagno per l’incubatore d’impresa passa spesso attraverso l’acquisizione di una quota della start-up che questo sostiene.

Ma altrettanto spesso per le attività imprenditoriali in fase iniziale l’accesso ai servizi offerti dall’incubatore è gratuito. E nella maggioranza dei casi questo avviene attraverso enti di ricerca e Università che a loro volta si avvalgono dell’accesso a fondi pubblici.

Chi sponsorizza l’incubatore e quali sono quelli più diffusi

L’incubatore che sostiene un’impresa, a sua volta, ha dietro uno sponsor. Che può essere un soggetto pubblico come un ente di ricerca, come sopra accennato, ma anche un’impresa di medie e spesso di grandi dimensioni. Quindi, esiste pure una distinzione tra gli incubatori pubblici e quelli privati.

Con gli incubatori che a loro volta possono essere dei social incubator in quanto il loro operato punta al benessere sociale. Ma ci sono pure, tra l’altro, i fintech incubator che sono specializzati nel supporto alle tecnologie finanziarie, ed i medtech incubator che, invece, sono specializzati nel supporto delle tecnologie mediche.

Assegno Unico: ampliata la platea dei beneficiari. Messaggio 2951 Inps

L’Assegno Unico è stato introdotto con il decreto legislativo 230 del 2021, le erogazioni sono iniziate nel mese di marzo 2022, ma nel frattempo sono state introdotte numerose novità aventi l’obiettivo di rendere la disciplina armonica e chiarire punti oscuri. A oltre 5 mesi dall’entrata in vigore non cessano di essere necessari chiarimenti e l’ultimo arriva con il Messaggio 2951 del 2022 da parte dell’INPS che va ad ampliare la platea dei beneficiari. Ecco chi ne avrà diritto.

I beneficiari dell’Assegno Unico

L’Assegno Unico prevede la corresponsione di denaro per i nuclei familiari in cui siano presenti figli minori e in alcuni casi per figli di età compresa tra 18 e 21 anni. L’ammontare dipende da numerosi fattori tra cui età del figlio, maggiore età, reddito e la possibilità di percepire maggiorazioni. Per conoscere le maggiorazioni in vigore, leggi l’articolo:

Assegno Unico: tutte le maggiorazioni previste dal decreto legislativo 230 del 2021

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Chiarimenti dell’INPS sulle maggiorazioni Assegno Unico e genitori lavoratori

I requisiti soggettivi per poter accedere all’assegno unico sono specificati nell’articolo 3 comma 1, specifica però l’Inps che ai fini della corretta individuazione dei potenziali beneficiari è necessario avere come punto di riferimento la normativa dell’Unione Europea e in particolare:

direttiva 2011/98/UE (attuata con il D.lgs 4 marzo 2014,n. 40), dal decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”

L’articolo 3 comma 1 lettera a del decreto legislativo 231 specifica che possono usufruire dell’assegno unico:

  • cittadini italiani;
  • cittadini di uno Stato Membro dell’Unione Europea o familiari titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente;
  • cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione Europea in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o sia titolare di permesso unico di lavoro autorizzato a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi o sia titolare di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzato a soggiornare in Italia per un periodo superiore a sei mesi.

A questa disciplina devono poi aggiungersi le precisazioni dell’INPS con la circolare 23 del 2022. In essa viene sottolineato che possono beneficiare dell’Assegno Unico:

  • apolidi, rifugiati politici, titolari di protezione internazionale ;
  • titolari di carta blu, cioè lavoratori altamente qualificati;
  • lavoratori di Marocco, Algeria e Tunisia; lavoratori autonomi titolari del permesso previsto nell’articolo 26 del Testo Unico .

Ampliata la platea dei beneficiari dell’Assegno Unico

Con il Messaggio 2951 l’Inps specifica che possono inoltre accedere al beneficio:

  • gli stranieri con contratto di lavoro almeno semestrale;
  • lavoratori stagionali con contratto almeno semestrale;
  • permesso di soggiorno per assistenza minori rilasciato a familiari per gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico del minore;
  • titolari di permesso per protezione speciale permessi rilasciati in casi speciali, ad esempio rilasciato a soggetti passivi di grave sfruttamento o violenza.

Sono invece esclusi dalla platea dei potenziali beneficiari:

  • gli stranieri in attesa di occupazione;
  • titolari di permessi per tirocinio e formazione professionale;
  • titolari di permesso studio;
  • studenti;
  • titolari di permessi per vacanze/affari, visite;
  • titolari di permessi per residenza elettiva.

Precisazioni per i cittadini del Regno Unito Sappiamo che il Regno Unito

per effetto della Brexit non è più parte dell’Unione Europea, quindi i cittadini del Regno Unito hanno perso la qualifica di cittadini dell’Unione Europea, l’Inps con il Messaggio 2951 ha sottolineato che coloro che sono cittadini del Regno Unito, devono essere considerati equiparati ai cittadini degli Stati Membri dell’Unione Europea se residenti nel territorio nazionale entro il 31 dicembre 2020. Negli altri casi sono invece applicate le norme per i cittadini extracomunitari.

Puoi scaricare il Messaggio completo seguendo il link Messaggio_numero_2951_del_25-07-2022